Riporto, con qualche giorno di ritardo, alcune mie note scritte durante il mio ultimo impegno ufficiale, il 19 giugno scorso, di questo A.S. ormai terminato, almeno per me, giacché mi scade il contratto a tempo determinato tra 3 giorni…
***
Stamattina, poco prima di uscire per venire a fare sorveglianza alla II prova, ho assistito alla televisione – accesa per consultare il televideo in merito ai risultati del campionato europeo di calcio, alle cui partite di ieri non ho assistito perché impegnato con gli amici brasileiros intervenuti al Festival di poesia, nonché da noi invitati a Casa America e al Suq – all’intervista lampo di un grasso senatore della destra, il quale pomposo sosteneva l’esigenza, dettata a suo dire dalla competizione politico-economica internazionale, di “far lavorare di più”, di “produrre di più”, visto che nei mercati che contano, quelli orientali, “si lavora il triplo che in Europa!”… Poi, “i salari si aumenteranno pure, ma si deve lavorare di più””.
Mi è subito venuto in mente il bieco padrone della fabbrica dove lavorano le “cimici”, tra cui il padre del protagonista de Il paese delle meraviglie, di Giuseppe Culicchia…
Peraltro, a scuola, una volta svolti i doveri burocratici e consolidatosi un clima di concentrazione in cui i ragazzi lavorano e noi docenti li “controlliamo” tranquillamente, mi sono preso dalla biblioteca dell’istituto due lbri con cui passare il tempo: gli Storici arabi delle Crociate curati da Francesco Gabrieli nella nuova edizione del 2007 – testo che conosco da tempo e che già ho usato, ma che non ho mai letto integralmente- nonché L’ospite inquietante di Umberto Galimberti, pubblicato nell’ottobre dello scorso anno e che da allora che m’intriga, ma non riesco a leggere.
Proprio di quest’ultimo leggo subito l’introduzione, che conferma in me l’idea che le coincidenze non esistono.
Perché in essa si legge, per esempio: “[…] i giovani, anche se non sempre ne sono consci, stanno male […] le famiglie si allarmano, la scuola non sa più cosa fare, solo il mercato s’interessa di loro per condurli sulle vie del divertimento e del consumo, dove ciò che si consuma non sono tanto gli oggetti che di anno in anno diventano obsoleti, ma la loro stessa vita […] Nel deserto dell’insensatezza che l’atmosfera nichilista del nostro tempo diffonde, il disagio non è più psicologico, ma culturale […] Conseguenza di un’implosione culturale di cui i giovani, parcheggiati nelle scuole, nelle università, nei master, nel precariato, sono le prime vittime […] E che dire di una società che non impiega il massimo della sua forza biologica, quella che i giovani esprimono dai quindici ai trent’anni, progettando, ideando, generando, se appena si profila loro una meta realistica, una prospettiva credibile, una speranza in grado di attivare quella forza che essi sentono dentro di loro, poi la fanno implodere anticipando la delusione per non vedersela di fronte?
Non è questo prescindere dai giovani il vero segno del tramonto della nostra cultura? Un segno ben più minaccioso dell’avanzare degli integralismi di altre culture, dell’efficientismo sfrenato di popoli che si affacciano nella nostra storia e con la nostra si coniiugano, avendo rinunciato a tutti i valori che non si riducano al valore del denaro?”.
E io aggiungo: avere una classe politica composta da soggetti come il suddetto grasso senatore di destra non è ancor più grave segno del tramonto non solo della nostra, ma di tutte, anzi tutta, la cultura umana, che dovrebbe essere caratterizzata da valori ben più degni di essere vissuti che non l’efficientismo e il competitivismo produttivo!
Mi si dirà che non sono realista, che il fatto stesso che io possa scrivere in questo mio blog dipende dalla nostra civiltà tecnologica.
Rispondo che sono ciechi coloro che non vedono come chi ci sta imponendo questo sistema di vita, ormai dilagato su scala mondiale – la famigerata globalizzazione! – cioè politici, banchieri, padroni dell’economia, ecc. – senza contare le masse complici e contemporaneamente vittime – presto precipiteremo tutti in un baratro profondo da cui sarà difficile riemergere.
Mi si dirà allora di essere il solito pessimista retorico e qualunquista.
Rispondo che io tale baratro l’ho già visto, a Lagos, in Nigeria, dove le multinazionali del petrolio e la classe dirigente locale connivente e corrotta hanno imposto la logica dello sfruttamento indiscriminato delle risorse di idrocarburi senza tener conto dell’ecologia, della salute e del benessere della popolazione, dei valori culturali e morali, delle prospettive future non solo delle masse ridotte a lottare per sopravvivere, ma anche degli stessi ricchi e dei dirigenti delle multinazionali, che devono vivere in grandi prigioni dorate, recintate, sorvegliate da spesso infide guardie del corpo, laddove se escono, escono nelle loro grosse e costose auto e fuoristrada, accompagnati da autisti e scorta, circondati però da un traffico bestiale e da una miseria violenta, morbosa e contagiosa…
Come fanno a non capire che i loro muri e fili spinati elettrificati non li proteggeranno dal disastro?
Mi è subito venuto in mente il bieco padrone della fabbrica dove lavorano le “cimici”, tra cui il padre del protagonista de Il paese delle meraviglie, di Giuseppe Culicchia…
Peraltro, a scuola, una volta svolti i doveri burocratici e consolidatosi un clima di concentrazione in cui i ragazzi lavorano e noi docenti li “controlliamo” tranquillamente, mi sono preso dalla biblioteca dell’istituto due lbri con cui passare il tempo: gli Storici arabi delle Crociate curati da Francesco Gabrieli nella nuova edizione del 2007 – testo che conosco da tempo e che già ho usato, ma che non ho mai letto integralmente- nonché L’ospite inquietante di Umberto Galimberti, pubblicato nell’ottobre dello scorso anno e che da allora che m’intriga, ma non riesco a leggere.
Proprio di quest’ultimo leggo subito l’introduzione, che conferma in me l’idea che le coincidenze non esistono.
Perché in essa si legge, per esempio: “[…] i giovani, anche se non sempre ne sono consci, stanno male […] le famiglie si allarmano, la scuola non sa più cosa fare, solo il mercato s’interessa di loro per condurli sulle vie del divertimento e del consumo, dove ciò che si consuma non sono tanto gli oggetti che di anno in anno diventano obsoleti, ma la loro stessa vita […] Nel deserto dell’insensatezza che l’atmosfera nichilista del nostro tempo diffonde, il disagio non è più psicologico, ma culturale […] Conseguenza di un’implosione culturale di cui i giovani, parcheggiati nelle scuole, nelle università, nei master, nel precariato, sono le prime vittime […] E che dire di una società che non impiega il massimo della sua forza biologica, quella che i giovani esprimono dai quindici ai trent’anni, progettando, ideando, generando, se appena si profila loro una meta realistica, una prospettiva credibile, una speranza in grado di attivare quella forza che essi sentono dentro di loro, poi la fanno implodere anticipando la delusione per non vedersela di fronte?
Non è questo prescindere dai giovani il vero segno del tramonto della nostra cultura? Un segno ben più minaccioso dell’avanzare degli integralismi di altre culture, dell’efficientismo sfrenato di popoli che si affacciano nella nostra storia e con la nostra si coniiugano, avendo rinunciato a tutti i valori che non si riducano al valore del denaro?”.
E io aggiungo: avere una classe politica composta da soggetti come il suddetto grasso senatore di destra non è ancor più grave segno del tramonto non solo della nostra, ma di tutte, anzi tutta, la cultura umana, che dovrebbe essere caratterizzata da valori ben più degni di essere vissuti che non l’efficientismo e il competitivismo produttivo!
Mi si dirà che non sono realista, che il fatto stesso che io possa scrivere in questo mio blog dipende dalla nostra civiltà tecnologica.
Rispondo che sono ciechi coloro che non vedono come chi ci sta imponendo questo sistema di vita, ormai dilagato su scala mondiale – la famigerata globalizzazione! – cioè politici, banchieri, padroni dell’economia, ecc. – senza contare le masse complici e contemporaneamente vittime – presto precipiteremo tutti in un baratro profondo da cui sarà difficile riemergere.
Mi si dirà allora di essere il solito pessimista retorico e qualunquista.
Rispondo che io tale baratro l’ho già visto, a Lagos, in Nigeria, dove le multinazionali del petrolio e la classe dirigente locale connivente e corrotta hanno imposto la logica dello sfruttamento indiscriminato delle risorse di idrocarburi senza tener conto dell’ecologia, della salute e del benessere della popolazione, dei valori culturali e morali, delle prospettive future non solo delle masse ridotte a lottare per sopravvivere, ma anche degli stessi ricchi e dei dirigenti delle multinazionali, che devono vivere in grandi prigioni dorate, recintate, sorvegliate da spesso infide guardie del corpo, laddove se escono, escono nelle loro grosse e costose auto e fuoristrada, accompagnati da autisti e scorta, circondati però da un traffico bestiale e da una miseria violenta, morbosa e contagiosa…
Come fanno a non capire che i loro muri e fili spinati elettrificati non li proteggeranno dal disastro?
Nessun commento:
Posta un commento