Ceviche a colazione... il mio primo libro!

16 luglio 2013

Americanità o Europa


Scritto da Diego Fusaro
Pubblicato Lunedì 08 Luglio 2013, ore 6,00

Dopo la polverizzazione dei sistemi socialisti e la scomparsa dell’alternativa possibile sotto le macerie del Muro (Berlino, 9.11.1989), il programma di Novalis, Cristianità o Europa, si è sempre più perversamente riconfigurato in una nuova e macabra forma: Americanità o Europa.
La potenza vincitrice della Guerra Fredda ha rinsaldato quel processo esiziale di americanizzazione integrale del vecchio continente avviato fin dal 1945. Ciò si determina evidentemente nella cultura, non solo quella di massa delle canzonette in inglese della radio, ma anche nella ristrutturazione capitalistica della scuola, sempre più simile a un’azienda, con debiti e crediti, presidi managers e studenti ridotti a consumatori di formazione; ma emerge poi anche nelle politiche sociali, id est nella demolizione del nobile sistema europeo dell’assistenza sociale e dell’attenzione per gli ultimi.
Infatti, la storia delle vicende europee successive alla caduta del Muro e alla tragicomica implosione dell’Unione Sovietica (la più grande tragedia geopolitica del Novecento) si inscrive a pieno titolo nel processo di imposizione del modello americano di capitalismo senza eticità residua contro il paradigma europeo del capitale ancora mitigato dal welfare state e da robusti elementi di eticità (tutti guadagnati sul campo tramite le lotte, e non certo donati generosamente dal capitale). L’Europa sta sempre più diventando una colonia americana: i singoli Stati europei stanno agli Stati Uniti come i satelliti dell’Unione Sovietica stavano al paese che aveva monopolizzato il materialismo storico.
L’ultima prova di questo scenario scandaloso risale alla settimana scorsa e allo stupore per le oscene pratiche di spionaggio degli Stati Uniti nei confronti degli “alleati” (che più opportuno sarebbe chiamare “subordinati”). Lo scrivente, dal canto suo, si stupisce per lo stupore. Perché meravigliarsi? È forse una novità che tra gli Stati europei e gli Stati Uniti non si dà un rapporto inter pares? Dove sta la novità? Ci si aspettava forse che l’Impero del Bene trattasse l’Italia, la Germania e la Spagna come soggetti liberi e uguali?
Nel quadro dell’odierna “quarta guerra mondiale” – così l’ha efficacemente definita Costanzo Preve – avviatasi nel 1991, la potenza americana è in lotta contro ogni forza che non si pieghi al suo dominio: i cosiddetti “alleati” sono costretti ogni volta (dall’Iraq del 1991 alla Libia del 2011!) a servire il padrone, prendendo parte attivamente alle sue aggressioni imperialistiche. Di ciò si può legittimamente sostenere quel che Carl Schmitt scriveva nel Concetto del politico (1927): “se un popolo si lascia prescrivere da uno straniero, in forma di sentenza o in qualsiasi altra maniera, chi è il suo hostis, e contro chi esso può combattere o no, esso non è più un popolo politicamente libero, ma è coordinato o subordinato a un altro sistema politico”. Questa l’Europa di oggi, appunto.
È sempre più lampante che la cultura imperiale dello Stato che, vincitore della Guerra Fredda, oggi sottomette ogni forza che non ne riconosca il dominio e il codice simbolico (subito condannata come rogue State, “Stato canaglia”) è strutturalmente incapace di relazionarsi autenticamente con l’Altro. Infatti, gli nega aprioristicamente ogni possibile legittimità, presentandolo sempre come luogo instabile del terrorismo e delle dittature o, semplicemente, classificandolo come the rest of the world. Gli Stati Europei non fanno eccezione: hanno diritto di esistere come colonie della madrepatria, così recita l’ideologia imperiale americana.
A questa prerogativa, propria di pressoché tutte le forme di imperialismo che si sono registrate nella storia, deve esserne accostata un’altra, connessa con la specifica ideologia puritano-protestante, di origine veterotestamentaria, che caratterizza l’odierna “monarchia universale” (per inciso, l’espressione Universalmonarchie è di Kant, che la impiega nel suo trattato Per la pace perpetua). Quest’ultima, in forza di tale formazione ideologica, è costantemente indotta a ritenersi il “popolo eletto”, quando non il solo indispensabile, con tutte le conseguenze che ininterrottamente ne discendono sul piano geopolitico.
 “America stands alone as the world’s indispensable nation”: così nel discorso di Bill Clinton del 20 gennaio 1997. Se l’America è la sola nazione indispensabile del mondo, tutte le altre sono legittimate a esistere come sue alleate subordinate, come sue colonie appunto.
Alfiere divino della special mission, l’“impero del bene” subito etichetta come terrorismo la legittima e benemerita resistenza dei popoli oppressi e di tutti gli Stati che, nonostante le loro macroscopiche contraddizioni interne, non si piegano alla mondializzazione capitalistica, svolgendo per ciò stesso un prezioso ruolo sul piano geopolitico (dall’Iran a Cuba, dalla Corea del Nord al Venezuela), ricordando anche a noi europei che resistere è possibile (con buona pace del titolo di un fortunato best-seller che recita “resistere non serve a nulla”).
In rivendicata antitesi con il coro virtuoso del politically correct e dei pentiti sempre pronti a schernire come pura nostalgia il recupero di categorie in grado di mettere in luce le contraddizioni di cui il presente è gravido, il recupero della critica dell’imperialismo è oggi di vitale importanza. Con buona pace della manipolazione organizzata e della propaganda ufficiale, che dichiarano tale categoria un ferrovecchio, l’imperialismo è oggi più che mai vivo – sia pure in forme nuove e flessibili, compatibili con il nuovo assetto del pianeta globalizzato – e la tendenza dominante a liquidarlo come categoria desueta rivela la mal celata volontà di anestetizzare la critica dichiarando morto il suo oggetto proprio quando esso è nel pieno delle forze.
Con Voltaire, ci ripeteremo finché non saremo capiti: non può esservi democrazia in Europa finché il suo territorio sarà occupato da basi militari atomiche statunitensi. Non può esservi l’Europa senza la sovranità geopolitica. Non può esservi un’Europa democratica di Stati liberi e uguali finché il vecchio continente sarà una semplice colonia della monarchia universale, o finché esisterà solo nella forma perversa del sistema eurocratico. Stupirsi per lo spionaggio è degno delle inguaribili anime belle di ogni tempo. Occorre, invece, adoperarsi per eliminare le condizioni che rendono possibili simili eventi.

2 commenti:

Roberto ha detto...

Il titolo del "fortunato best-seller" a cui allude Fusaro invero è "Resistere non serve a niente", di Walter Siti, Premio Strega 2013.

Roberto ha detto...

L'analisi di Fusaro è acuta e condivisibile, per quanto dimentichi che l'imperialismo USA è una conseguenza del fallimento dell'imperialismo dell'Europa occidentale e del suo contraltare, l'URSS.
Il '900 è stato il secolo della guerra mondiale per l'egemonia imperialista tra Gran Bretagna e Germania prima, dilaniatesi nella II GM, da cui sono usciti unici vincitori solo gli USA e l'URSS, che poi si sono scontrati nella lunga guerra fredda da cui è emerso l'impero americano.
Dall'America Latina, soprattutto, Cuba in primis, l'Europa deve ora imparare a combattere l'imperialismo e a sconfiggerlo per sempre.