Voglio riportare per intero un articolo uscito qualche giorno fa sul Corriere della Sera, in seguito lo commenterò a parte:
L' Incubo del Giorno del Secondo Olocausto
Un bel giorno, quando meno ce lo aspetteremo, i mullah di Qom convocheranno una seduta segreta, sulla quale campeggeranno gli occhi di ghiaccio dell' ayatollah Khomeini, per dare il placet ad Ahmadinejad. Allora per Israele sarà la fine.
Il secondo Olocausto non sarà come il primo. Certo, anche i nazisti ordirono uno sterminio di massa. Ma, in qualche modo, avevano un contatto diretto con le vittime. Che disumanizzavano, dopo mesi, anni di atroce degradazione fisica e morale, prima dell' uccisione vera e propria. Ma con cui avevano pur sempre stabilito un contatto fisico: vedevano, sentivano, talvolta toccavano le loro vittime. I tedeschi - e i loro alleati - rastrellavano uomini, donne e bambini, per poi trascinarli e randellarli lungo le strade, freddarli nel bosco più vicino o scaraventarli e stiparli nei vagoni di un treno, da cui iniziava il viaggio verso i campi di sterminio, dove «Il lavoro rende liberi». Separavano gli individui di costituzione robusta da quelli completamente inutili, che adescavano nelle «docce» attraverso cui veniva pompato il gas; estraevano o presiedevano alla rimozione dei corpi e preparavano, infine, le «docce» per il plotone successivo.
CRISI - Il secondo Olocausto sarà ben diverso. Un bel giorno, tempo cinque o dieci anni, magari nel pieno di una crisi regionale, o quando meno ce lo aspetteremo, un giorno o un anno o cinque anni dopo che l' Iran si sarà dotato della Bomba, i mullah di Qom convocheranno una seduta segreta, sulla quale campeggerà il ritratto dell' ayatollah Khomeini, con i suoi occhi di ghiaccio, per dare il placet al presidente Ahmadinejad, giunto oramai al secondo o al terzo mandato. Tutti i comandi saranno eseguiti, i missili Shihab-3 e 4 saranno lanciati verso Tel Aviv, Beersheba, Haifa, Gerusalemme e, probabilmente, anche contro alcuni campi militari, comprese le sei basi aeree e missilistiche nucleari (o presunte tali) di Israele. Qualche missile sarà dotato di testata nucleare, in qualche caso addirittura multipla. Altri saranno di tipo standard, muniti solamente di agenti chimici o batteriologici, o stipati di vecchi giornali, per scalzare o spiazzare le batterie anti-missilistiche e le unità dell' esercito israeliano. Per un Paese delle dimensioni e la conformazione di Israele (una striscia di terra oblunga di circa 21 mila chilometri quadrati), quattro o cinque lanci saranno probabilmente sufficienti. E addio Israele. Un milione o più di israeliani, nelle maggiori aree di Tel Aviv, Haifa e Gerusalemme, periranno sul colpo. Milioni saranno gravemente irradiati. Israele conta sette milioni di abitanti circa. Nessun iraniano vedrà né toccherà alcun israeliano. Tutto si svolgerà in modo molto impersonale.
DANNI COLLATERALI - Ci saranno inevitabilmente anche morti di nazionalità araba. Circa 1,3 milioni di abitanti di Israele sono arabi e altri 3,5 milioni vivono nelle aree ancora in parte occupate della Striscia di Gaza e in Cisgiordania. Gerusalemme, Tel Aviv, Jaffa e Haifa contano nutrite minoranze arabe. E attorno a Gerusalemme (vedi El Bireh, vicino a Ramallah, Bir Zeit e Betlemme) e Haifa sorgono vaste aree a densa popolazione araba. Anche qui saranno in moltissimi a morire, sul colpo o poco a poco. È improbabile che un simile massacro nei confronti dei correligionari musulmani possa turbare Ahmadinejad e i mullah. Gli iraniani non amano particolarmente gli arabi, soprattutto i sunniti, contro cui, per secoli, hanno combattuto a intermittenza. E nutrono particolare disprezzo per i palestinesi sunniti che, in fin dei conti, pur essendo inizialmente dieci volte più numerosi degli ebrei, nel corso di un conflitto che si è protratto per anni non sono riusciti a impedire loro di fondare lo Stato ebraico, né di prendere possesso di tutta la Palestina. Di più, i leader iraniani considerano la distruzione di Israele come un supremo comando divino, l' araldo della Seconda Venuta, e la morte collaterale degli islamici come il sacrificio di shuhada (martiri) sull' altare di una causa nobile. In ogni caso, il popolo palestinese, sparso un po' in tutto il mondo, sopravviverà, assieme alla grande nazione araba di cui è parte integrante. E va da sé che, per liberarsi dello Stato ebraico, gli arabi devono essere pronti a qualche sacrificio. E il gioco, considerandolo nel bilancio generale, vale la candela. Ma un' altra questione potrebbe essere sollevata nel corso di queste consulte: e Gerusalemme? La città, infatti, ospita due dei luoghi più sacri dell' Islam (dopo la Mecca e Medina): le moschee di Al Aqsa e di Omar. Con ogni probabilità, però, la suprema guida spirituale Ali Khamenei e Ahmadinejad darebbero a questa domanda la stessa risposta che sfoggerebbero per il più generale problema della distruzione e dell' inquinamento radioattivo dell' intera Palestina: la città e la terra, per grazia di Dio, in venti, cinquanta anni al massimo torneranno come prima. E saranno restituite all' Islam (e agli arabi). Senza la benché minima traccia di contaminazioni radioattive.
RISCHIO CALCOLATO - A giudicare dai continui riferimenti, da parte di Ahmadinejad, alla Palestina e all' urgenza di distruggere Israele, e dalla negazione, di cui si è fatto portavoce, del primo Olocausto, si direbbe che l' uomo sia ossessionato. Tratto che condivide con i mullah: entrambi vengono dalla scuola di Khomeini, prolifico antisemita noto per le folgori scagliate contro il «piccolo Satana». E a giudicare dal concorso, da lui promosso, per le vignette sulla Shoah, o dalla Conferenza sull' Olocausto (appena conclusasi), emerge un presidente iraniano arso da un vortice di odio profondo (oltreché, naturalmente, insolente). Ahmadinejad, infatti, è pronto a mettere a repentaglio il futuro dell' Iran, se non addirittura di tutto il Medio Oriente musulmano, in cambio della distruzione di Israele. Non v' è alcun dubbio che egli creda che Allah, in un modo o nell' altro, proteggerà l' Iran da una risposta nucleare israeliana o da un' eventuale controffensiva Usa. E, Allah a parte, è facile che egli creda che i suoi missili polverizzeranno lo Stato ebraico, annienteranno i suoi leader, distruggeranno le basi nucleari terrestri e demoralizzeranno o spiazzeranno i comandanti dei sottomarini nucleari in modo così drastico ed efficace da neutralizzare qualsivoglia reazione. E, con il suo profondo disprezzo per il pavido Occidente, è improbabile che il leader iraniano prenda in seria considerazione la minaccia di una rappresaglia nucleare Usa. Ma può anche darsi che egli sia consapevole del rischio di un contrattacco e si professi tout court - e, secondo il nostro modo di pensare, in modo assolutamente irrazionale - disposto a pagarne le conseguenze. Come il suo mentore Khomeini ebbe a dire, nel 1980, durante un discorso ufficiale a Qom: «Noi non veneriamo l' Iran, ma Allah... Per questo dico: che questa terra bruci. Che vada in fumo, purché l' Islam ne esca trionfante...». Per tali cultori della morte, persino il sacrificio della propria patria vale bene la cancellazione di Israele. Come il primo, anche il secondo Olocausto sarà preceduto da lustri di indottrinamento dei cuori e delle menti da parte di leader arabi e iraniani, intellettuali occidentali e sfoghi mediatici. Il messaggio è cambiato a seconda del pubblico ma, di fatto, l' obiettivo di fondo è stato sempre lo stesso: la demonizzazione di Israele. Ai musulmani di tutto il mondo è stato insegnato che «i sionisti e gli ebrei incarnano il male» e che «Israele dovrebbe essere distrutto». E agli occidentali, in modo più subdolo, è stato inculcato che «Israele è uno Stato tiranno e razzista» che «nell' età del multiculturalismo, è inutile e anacronistico». Varie generazioni di musulmani - e almeno una di occidentali - sono state indottrinate a suon di dogmi simili.
COMUNITÀ INTERNAZIONALE - La campagna per il secondo Olocausto (che, tra l' altro, alla fine provocherà all' incirca tanti morti quanti ne fece il primo) si è svolta in una comunità internazionale lacerata e guidata da ambizioni egoistiche e discordanti, con Russia e China ossessionate dalle prospettive di mercato nei Paesi musulmani, la Francia dal petrolio arabo e gli Usa portati, dopo la débâcle irachena, a un profondo isolazionismo. L' Iran è stato lasciato libero di proseguire sulla china del nucleare, e la comunità internazionale non è intervenuta nello scontro tra Israele e il regime degli Ayatollah. Ma uno Stato israeliano sostanzialmente isolato - come un coniglio improvvisamente abbagliato dai fari di una macchina -, non può essere all' altezza della situazione. La scorsa estate, guidato da un mediocre politicante come Primo ministro e da un sindacalista da strapazzo come ministro della Difesa, schierando un esercito addestrato per gestire le inesperte e sguarnite bande palestinesi nei Territori occupati (e troppo intento a fare fronte a eventuali disgrazie o a provocarle), Israele è uscito perdente da un mini-conflitto di appena trentaquattro giorni contro una piccola guerriglia di fondamentalisti libanesi spalleggiata dall' Iran (sebbene molto motivata e ben addestrata e armata). Quell' episodio ha totalmente demoralizzato la leadership politica e militare israeliana. Da allora, i ministri e i generali israeliani, così come i loro omologhi occidentali, assistendo al graduale approvvigionamento di armi letali a Hezbollah da parte dei fiancheggiatori di quest' ultimo, sono divenuti sempre più sfiduciati e pessimisti. Paradossalmente, è addirittura possibile che i leader israeliani abbiano gradito gli appelli alla moderazione da parte dell' Occidente. E, con ogni probabilità, hanno voluto disperatamente credere alle promesse occidentali che qualcuno - l' Onu, il G7 -, in un modo o nell' altro, avrebbe cavato la castagna radioattiva dal fuoco. C' è stato addirittura chi ha abboccato alla bislacca promessa di un cambio di regime a Teheran il quale, pilotato dal cosiddetto ceto medio laico, avrebbe progressivamente messo il bastone tra le ruote al fanatismo dei mullah.
NUCLEARE - Ma, fatto ancor più rilevante, il programma iraniano ha costituito una sfida infinitamente complessa per un Paese con risorse militari limitate e di tipo convenzionale qual è Israele. Prendendo l' imbeccata dall' operazione con cui l' Aeronautica militare israeliana, nel 1981, riuscì a distruggere il reattore nucleare iracheno di Osiraq, gli iraniani hanno raddoppiato e dislocato i propri impianti, nascondendoli anche molti metri sottoterra (e a ciò va aggiunto il fatto che la distanza tra Israele e gli obiettivi iraniani è doppia rispetto a quella con Bagdad). Per smantellare con le armi convenzionali gli impianti israeliani conosciuti, occorrebbe una capacità aeronautica pari a quella Usa impegnata giorno e notte, e per oltre un mese. Nella migliore delle ipotesi, l' aeronautica, la marina e il commando israeliano potrebbero sperare di fermare solo in parte il progetto iraniano. Il quale, tutto sommato, non subirebbe sostanziali modifiche. Con gli iraniani ancora più determinati (ammesso che ciò sia possibile) a sviluppare quanto prima la Bomba. (Altra conseguenza immediata sarebbe senz' altro una nuova campagna terroristica di stampo islamista e su scala globale contro Israele - e forse anche contro i suoi alleati occidentali - assieme, naturalmente, a un' involuzione pressoché generale. Manipolati da Ahmadinejad, tutti rivendicherebbero che il programma iraniano aveva scopi pacifici). Tutt' al più, un attacco convenzionale da parte di Israele potrebbe procrastinare il progetto iraniano di uno o due anni.
OPZIONI - In quattro e quattr' otto, dunque, la sprovveduta leadership di Gerusalemme si troverà davanti a uno scenario apocalittico, sia che lanci un' offensiva convenzionale dagli effetti marginali, sia che opti per un attacco nucleare preventivo contro gli impianti iraniani, alcuni dei quali situati vicino o dentro le principali città. Ne avrebbe il fegato? La sua determinazione a salvare Israele basterebbe a giustificare l' attacco preventivo, con la conseguente morte di milioni di iraniani e, di fatto, la distruzione dell' Iran? Il dilemma è stato rigorosamente chiarito già molto tempo fa da un generale molto saggio: l' arsenale nucleare israeliano a nulla può servire. Può soltanto essere schierato «troppo presto» o «troppo tardi». Il momento «giusto» non arriverà mai. Se schierato «troppo presto», ossia prima che l' Iran si fosse procurato gli ordigni nucleari, Israele sarebbe stato degradato a paria nello scacchiere internazionale, bersaglio della furia della comunità musulmana mondiale, senza più alcun Paese disposto a spalleggiarlo. Schierarlo «troppo tardi», invece, vorrebbe dire colpire ad attacco iraniano già avvenuto. E a che pro? I leader israeliani, quindi, stringeranno i denti sperando che, in qualche modo, le cose si aggiustino da sé. Magari, una volta ottenuta la Bomba, gli iraniani si comporteranno in modo «razionale»?
CATASTROFE - Ma questi ultimi sono guidati da una logica superiore. Lanceranno i loro missili. E, come per il primo Olocausto, la comunità internazionale non muoverà un dito. Tutto avverrà, per Israele, in pochi minuti; non come negli anni ' 40, quando il mondo stette cinque lunghi anni a torcersi le mani senza battere ciglio. Dopo i lanci di Shihab, la comunità internazionale manderà navi di soccorso e assistenza medica per quanti sopravviveranno alle esplosioni. Ma non attaccherà l' Iran. Quale sarebbe il prezzo? E il tornaconto? Optando per una controffensiva nucleare, gli Usa si alienerebbero definitivamente l' intero mondo musulmano, esasperando e generalizzando il già acceso scontro di civiltà. Ovviamente, senza potere riportare in vita Israele. (Forse che impiccando un serial killer si fanno rivivere le sue vittime?). E allora che senso avrebbe? Il secondo Olocausto, però, sarà diverso nel senso che Ahmadinejad non vedrà né toccherà concretamente gli individui di cui sogna tanto la morte (il che - qualcuno potrebbe congetturare - potrà cagionargli una delusione dato che, negli anni in cui ha prestato servizio con gli squadroni della morte iraniani in Europa, ha probabilmente preso gusto per il sangue vero). Anzi, non vi saranno scene come quella che sto per raccontarvi, riportata da Daniel Mendelsohn nel suo recente libro The Lost, A Search for Six of Six Million (HarperCollins 2006), in cui viene descritta la seconda Aktion dei nazisti a Bolechow, piccolo paesino della Polonia, nel settembre 1942. «La signora Grynberg fu vittima di un episodio terribile. Gli ucraini e i tedeschi, facendo irruzione nella sua casa, la trovarono che stava partorendo. A nulla valsero le lacrime e le suppliche degli astanti: la portarono via, ancora in vestaglia, dalla sua casa, e la trascinarono fino alla piazza davanti al municipio. E lì... fu spinta a forza sopra un cassonetto per l' immondizia nel cortile del municipio, e tra gli scherni e i dileggi della folla di ucraini presenti, insensibili al suo dolore, partorì. Il bambino le fu immediatamente strappato dalle braccia con tutto il cordone ombelicale. Fu scaraventato verso la folla, che prese a schiacciarlo coi piedi. Lei fu lasciata sola, con le ferite e i brandelli di carne sanguinanti, e così rimase per qualche ora, appoggiata a un muro, fino a che non fu portata alla stazione ferroviaria e, assieme agli altri, fatta salire su un vagone verso il campo di sterminio di Belzec». Nel prossimo Olocausto non ci saranno episodi così strazianti. Non vedremo vittime e carnefici coperti di sangue (anche se, a giudicare dalle immagini di Hiroshima e Nagasaki, le conseguenze delle esplosioni nucleari possono essere altrettanto devastanti). Ma sarà comunque un Olocausto.
Benny Morris
(Traduzione di Enrico Del Sero)
(20 dicembre, 2006) Corriere della Sera
Un bel giorno, quando meno ce lo aspetteremo, i mullah di Qom convocheranno una seduta segreta, sulla quale campeggeranno gli occhi di ghiaccio dell' ayatollah Khomeini, per dare il placet ad Ahmadinejad. Allora per Israele sarà la fine.
Il secondo Olocausto non sarà come il primo. Certo, anche i nazisti ordirono uno sterminio di massa. Ma, in qualche modo, avevano un contatto diretto con le vittime. Che disumanizzavano, dopo mesi, anni di atroce degradazione fisica e morale, prima dell' uccisione vera e propria. Ma con cui avevano pur sempre stabilito un contatto fisico: vedevano, sentivano, talvolta toccavano le loro vittime. I tedeschi - e i loro alleati - rastrellavano uomini, donne e bambini, per poi trascinarli e randellarli lungo le strade, freddarli nel bosco più vicino o scaraventarli e stiparli nei vagoni di un treno, da cui iniziava il viaggio verso i campi di sterminio, dove «Il lavoro rende liberi». Separavano gli individui di costituzione robusta da quelli completamente inutili, che adescavano nelle «docce» attraverso cui veniva pompato il gas; estraevano o presiedevano alla rimozione dei corpi e preparavano, infine, le «docce» per il plotone successivo.
CRISI - Il secondo Olocausto sarà ben diverso. Un bel giorno, tempo cinque o dieci anni, magari nel pieno di una crisi regionale, o quando meno ce lo aspetteremo, un giorno o un anno o cinque anni dopo che l' Iran si sarà dotato della Bomba, i mullah di Qom convocheranno una seduta segreta, sulla quale campeggerà il ritratto dell' ayatollah Khomeini, con i suoi occhi di ghiaccio, per dare il placet al presidente Ahmadinejad, giunto oramai al secondo o al terzo mandato. Tutti i comandi saranno eseguiti, i missili Shihab-3 e 4 saranno lanciati verso Tel Aviv, Beersheba, Haifa, Gerusalemme e, probabilmente, anche contro alcuni campi militari, comprese le sei basi aeree e missilistiche nucleari (o presunte tali) di Israele. Qualche missile sarà dotato di testata nucleare, in qualche caso addirittura multipla. Altri saranno di tipo standard, muniti solamente di agenti chimici o batteriologici, o stipati di vecchi giornali, per scalzare o spiazzare le batterie anti-missilistiche e le unità dell' esercito israeliano. Per un Paese delle dimensioni e la conformazione di Israele (una striscia di terra oblunga di circa 21 mila chilometri quadrati), quattro o cinque lanci saranno probabilmente sufficienti. E addio Israele. Un milione o più di israeliani, nelle maggiori aree di Tel Aviv, Haifa e Gerusalemme, periranno sul colpo. Milioni saranno gravemente irradiati. Israele conta sette milioni di abitanti circa. Nessun iraniano vedrà né toccherà alcun israeliano. Tutto si svolgerà in modo molto impersonale.
DANNI COLLATERALI - Ci saranno inevitabilmente anche morti di nazionalità araba. Circa 1,3 milioni di abitanti di Israele sono arabi e altri 3,5 milioni vivono nelle aree ancora in parte occupate della Striscia di Gaza e in Cisgiordania. Gerusalemme, Tel Aviv, Jaffa e Haifa contano nutrite minoranze arabe. E attorno a Gerusalemme (vedi El Bireh, vicino a Ramallah, Bir Zeit e Betlemme) e Haifa sorgono vaste aree a densa popolazione araba. Anche qui saranno in moltissimi a morire, sul colpo o poco a poco. È improbabile che un simile massacro nei confronti dei correligionari musulmani possa turbare Ahmadinejad e i mullah. Gli iraniani non amano particolarmente gli arabi, soprattutto i sunniti, contro cui, per secoli, hanno combattuto a intermittenza. E nutrono particolare disprezzo per i palestinesi sunniti che, in fin dei conti, pur essendo inizialmente dieci volte più numerosi degli ebrei, nel corso di un conflitto che si è protratto per anni non sono riusciti a impedire loro di fondare lo Stato ebraico, né di prendere possesso di tutta la Palestina. Di più, i leader iraniani considerano la distruzione di Israele come un supremo comando divino, l' araldo della Seconda Venuta, e la morte collaterale degli islamici come il sacrificio di shuhada (martiri) sull' altare di una causa nobile. In ogni caso, il popolo palestinese, sparso un po' in tutto il mondo, sopravviverà, assieme alla grande nazione araba di cui è parte integrante. E va da sé che, per liberarsi dello Stato ebraico, gli arabi devono essere pronti a qualche sacrificio. E il gioco, considerandolo nel bilancio generale, vale la candela. Ma un' altra questione potrebbe essere sollevata nel corso di queste consulte: e Gerusalemme? La città, infatti, ospita due dei luoghi più sacri dell' Islam (dopo la Mecca e Medina): le moschee di Al Aqsa e di Omar. Con ogni probabilità, però, la suprema guida spirituale Ali Khamenei e Ahmadinejad darebbero a questa domanda la stessa risposta che sfoggerebbero per il più generale problema della distruzione e dell' inquinamento radioattivo dell' intera Palestina: la città e la terra, per grazia di Dio, in venti, cinquanta anni al massimo torneranno come prima. E saranno restituite all' Islam (e agli arabi). Senza la benché minima traccia di contaminazioni radioattive.
RISCHIO CALCOLATO - A giudicare dai continui riferimenti, da parte di Ahmadinejad, alla Palestina e all' urgenza di distruggere Israele, e dalla negazione, di cui si è fatto portavoce, del primo Olocausto, si direbbe che l' uomo sia ossessionato. Tratto che condivide con i mullah: entrambi vengono dalla scuola di Khomeini, prolifico antisemita noto per le folgori scagliate contro il «piccolo Satana». E a giudicare dal concorso, da lui promosso, per le vignette sulla Shoah, o dalla Conferenza sull' Olocausto (appena conclusasi), emerge un presidente iraniano arso da un vortice di odio profondo (oltreché, naturalmente, insolente). Ahmadinejad, infatti, è pronto a mettere a repentaglio il futuro dell' Iran, se non addirittura di tutto il Medio Oriente musulmano, in cambio della distruzione di Israele. Non v' è alcun dubbio che egli creda che Allah, in un modo o nell' altro, proteggerà l' Iran da una risposta nucleare israeliana o da un' eventuale controffensiva Usa. E, Allah a parte, è facile che egli creda che i suoi missili polverizzeranno lo Stato ebraico, annienteranno i suoi leader, distruggeranno le basi nucleari terrestri e demoralizzeranno o spiazzeranno i comandanti dei sottomarini nucleari in modo così drastico ed efficace da neutralizzare qualsivoglia reazione. E, con il suo profondo disprezzo per il pavido Occidente, è improbabile che il leader iraniano prenda in seria considerazione la minaccia di una rappresaglia nucleare Usa. Ma può anche darsi che egli sia consapevole del rischio di un contrattacco e si professi tout court - e, secondo il nostro modo di pensare, in modo assolutamente irrazionale - disposto a pagarne le conseguenze. Come il suo mentore Khomeini ebbe a dire, nel 1980, durante un discorso ufficiale a Qom: «Noi non veneriamo l' Iran, ma Allah... Per questo dico: che questa terra bruci. Che vada in fumo, purché l' Islam ne esca trionfante...». Per tali cultori della morte, persino il sacrificio della propria patria vale bene la cancellazione di Israele. Come il primo, anche il secondo Olocausto sarà preceduto da lustri di indottrinamento dei cuori e delle menti da parte di leader arabi e iraniani, intellettuali occidentali e sfoghi mediatici. Il messaggio è cambiato a seconda del pubblico ma, di fatto, l' obiettivo di fondo è stato sempre lo stesso: la demonizzazione di Israele. Ai musulmani di tutto il mondo è stato insegnato che «i sionisti e gli ebrei incarnano il male» e che «Israele dovrebbe essere distrutto». E agli occidentali, in modo più subdolo, è stato inculcato che «Israele è uno Stato tiranno e razzista» che «nell' età del multiculturalismo, è inutile e anacronistico». Varie generazioni di musulmani - e almeno una di occidentali - sono state indottrinate a suon di dogmi simili.
COMUNITÀ INTERNAZIONALE - La campagna per il secondo Olocausto (che, tra l' altro, alla fine provocherà all' incirca tanti morti quanti ne fece il primo) si è svolta in una comunità internazionale lacerata e guidata da ambizioni egoistiche e discordanti, con Russia e China ossessionate dalle prospettive di mercato nei Paesi musulmani, la Francia dal petrolio arabo e gli Usa portati, dopo la débâcle irachena, a un profondo isolazionismo. L' Iran è stato lasciato libero di proseguire sulla china del nucleare, e la comunità internazionale non è intervenuta nello scontro tra Israele e il regime degli Ayatollah. Ma uno Stato israeliano sostanzialmente isolato - come un coniglio improvvisamente abbagliato dai fari di una macchina -, non può essere all' altezza della situazione. La scorsa estate, guidato da un mediocre politicante come Primo ministro e da un sindacalista da strapazzo come ministro della Difesa, schierando un esercito addestrato per gestire le inesperte e sguarnite bande palestinesi nei Territori occupati (e troppo intento a fare fronte a eventuali disgrazie o a provocarle), Israele è uscito perdente da un mini-conflitto di appena trentaquattro giorni contro una piccola guerriglia di fondamentalisti libanesi spalleggiata dall' Iran (sebbene molto motivata e ben addestrata e armata). Quell' episodio ha totalmente demoralizzato la leadership politica e militare israeliana. Da allora, i ministri e i generali israeliani, così come i loro omologhi occidentali, assistendo al graduale approvvigionamento di armi letali a Hezbollah da parte dei fiancheggiatori di quest' ultimo, sono divenuti sempre più sfiduciati e pessimisti. Paradossalmente, è addirittura possibile che i leader israeliani abbiano gradito gli appelli alla moderazione da parte dell' Occidente. E, con ogni probabilità, hanno voluto disperatamente credere alle promesse occidentali che qualcuno - l' Onu, il G7 -, in un modo o nell' altro, avrebbe cavato la castagna radioattiva dal fuoco. C' è stato addirittura chi ha abboccato alla bislacca promessa di un cambio di regime a Teheran il quale, pilotato dal cosiddetto ceto medio laico, avrebbe progressivamente messo il bastone tra le ruote al fanatismo dei mullah.
NUCLEARE - Ma, fatto ancor più rilevante, il programma iraniano ha costituito una sfida infinitamente complessa per un Paese con risorse militari limitate e di tipo convenzionale qual è Israele. Prendendo l' imbeccata dall' operazione con cui l' Aeronautica militare israeliana, nel 1981, riuscì a distruggere il reattore nucleare iracheno di Osiraq, gli iraniani hanno raddoppiato e dislocato i propri impianti, nascondendoli anche molti metri sottoterra (e a ciò va aggiunto il fatto che la distanza tra Israele e gli obiettivi iraniani è doppia rispetto a quella con Bagdad). Per smantellare con le armi convenzionali gli impianti israeliani conosciuti, occorrebbe una capacità aeronautica pari a quella Usa impegnata giorno e notte, e per oltre un mese. Nella migliore delle ipotesi, l' aeronautica, la marina e il commando israeliano potrebbero sperare di fermare solo in parte il progetto iraniano. Il quale, tutto sommato, non subirebbe sostanziali modifiche. Con gli iraniani ancora più determinati (ammesso che ciò sia possibile) a sviluppare quanto prima la Bomba. (Altra conseguenza immediata sarebbe senz' altro una nuova campagna terroristica di stampo islamista e su scala globale contro Israele - e forse anche contro i suoi alleati occidentali - assieme, naturalmente, a un' involuzione pressoché generale. Manipolati da Ahmadinejad, tutti rivendicherebbero che il programma iraniano aveva scopi pacifici). Tutt' al più, un attacco convenzionale da parte di Israele potrebbe procrastinare il progetto iraniano di uno o due anni.
OPZIONI - In quattro e quattr' otto, dunque, la sprovveduta leadership di Gerusalemme si troverà davanti a uno scenario apocalittico, sia che lanci un' offensiva convenzionale dagli effetti marginali, sia che opti per un attacco nucleare preventivo contro gli impianti iraniani, alcuni dei quali situati vicino o dentro le principali città. Ne avrebbe il fegato? La sua determinazione a salvare Israele basterebbe a giustificare l' attacco preventivo, con la conseguente morte di milioni di iraniani e, di fatto, la distruzione dell' Iran? Il dilemma è stato rigorosamente chiarito già molto tempo fa da un generale molto saggio: l' arsenale nucleare israeliano a nulla può servire. Può soltanto essere schierato «troppo presto» o «troppo tardi». Il momento «giusto» non arriverà mai. Se schierato «troppo presto», ossia prima che l' Iran si fosse procurato gli ordigni nucleari, Israele sarebbe stato degradato a paria nello scacchiere internazionale, bersaglio della furia della comunità musulmana mondiale, senza più alcun Paese disposto a spalleggiarlo. Schierarlo «troppo tardi», invece, vorrebbe dire colpire ad attacco iraniano già avvenuto. E a che pro? I leader israeliani, quindi, stringeranno i denti sperando che, in qualche modo, le cose si aggiustino da sé. Magari, una volta ottenuta la Bomba, gli iraniani si comporteranno in modo «razionale»?
CATASTROFE - Ma questi ultimi sono guidati da una logica superiore. Lanceranno i loro missili. E, come per il primo Olocausto, la comunità internazionale non muoverà un dito. Tutto avverrà, per Israele, in pochi minuti; non come negli anni ' 40, quando il mondo stette cinque lunghi anni a torcersi le mani senza battere ciglio. Dopo i lanci di Shihab, la comunità internazionale manderà navi di soccorso e assistenza medica per quanti sopravviveranno alle esplosioni. Ma non attaccherà l' Iran. Quale sarebbe il prezzo? E il tornaconto? Optando per una controffensiva nucleare, gli Usa si alienerebbero definitivamente l' intero mondo musulmano, esasperando e generalizzando il già acceso scontro di civiltà. Ovviamente, senza potere riportare in vita Israele. (Forse che impiccando un serial killer si fanno rivivere le sue vittime?). E allora che senso avrebbe? Il secondo Olocausto, però, sarà diverso nel senso che Ahmadinejad non vedrà né toccherà concretamente gli individui di cui sogna tanto la morte (il che - qualcuno potrebbe congetturare - potrà cagionargli una delusione dato che, negli anni in cui ha prestato servizio con gli squadroni della morte iraniani in Europa, ha probabilmente preso gusto per il sangue vero). Anzi, non vi saranno scene come quella che sto per raccontarvi, riportata da Daniel Mendelsohn nel suo recente libro The Lost, A Search for Six of Six Million (HarperCollins 2006), in cui viene descritta la seconda Aktion dei nazisti a Bolechow, piccolo paesino della Polonia, nel settembre 1942. «La signora Grynberg fu vittima di un episodio terribile. Gli ucraini e i tedeschi, facendo irruzione nella sua casa, la trovarono che stava partorendo. A nulla valsero le lacrime e le suppliche degli astanti: la portarono via, ancora in vestaglia, dalla sua casa, e la trascinarono fino alla piazza davanti al municipio. E lì... fu spinta a forza sopra un cassonetto per l' immondizia nel cortile del municipio, e tra gli scherni e i dileggi della folla di ucraini presenti, insensibili al suo dolore, partorì. Il bambino le fu immediatamente strappato dalle braccia con tutto il cordone ombelicale. Fu scaraventato verso la folla, che prese a schiacciarlo coi piedi. Lei fu lasciata sola, con le ferite e i brandelli di carne sanguinanti, e così rimase per qualche ora, appoggiata a un muro, fino a che non fu portata alla stazione ferroviaria e, assieme agli altri, fatta salire su un vagone verso il campo di sterminio di Belzec». Nel prossimo Olocausto non ci saranno episodi così strazianti. Non vedremo vittime e carnefici coperti di sangue (anche se, a giudicare dalle immagini di Hiroshima e Nagasaki, le conseguenze delle esplosioni nucleari possono essere altrettanto devastanti). Ma sarà comunque un Olocausto.
Benny Morris
(Traduzione di Enrico Del Sero)
(20 dicembre, 2006) Corriere della Sera
3 commenti:
Ho riportato per intero questo articolo di Benny Morris perché rispecchia completamente la mia più modesta previsione, di cui sono convinto già da tempo.
Da anni infatti, anche nei confronti degli alunni durante le mie lezioni di storia, sostengo che Israele sarà presto abbandonato a sé stesso, sacrificato come un capro espiatorio a purificare la coscienza dell’Occidente, che lascierà svolgere il ruolo di cattivo stavolta all’Iran, laddove in passato erano stati i nazisti.
La storia parla chiaro: l’Occidente ha sempre disprezzato e perseguitato gli ebrei, anche prima del Cristianesimo, perché troppo orgogliosamente “diversi” e per questo sempre “turbolenti”. Con il Cristianesimo sono stati anche demonizzati (il Concilo Ecumenico Laterano IV del 1215, indetto dal famigerato Innocenzo III, fu solo un’ufficializzazione da parte della Chiesa dell’antisemitismo cristiano e dell’accusa di deicidio che lo giustificava, quest’ultima ribadita al Concilio di Trento) e ghettizzati, aumentando il loro isolamento, quindi la loro “diversità”. Cosa che ha favorito da parte delle autorità l’uso degli ebrei come capro espiatorio di tutti i mali della massa, che fossero epidemie, carestie, guerre o tasse esose. L’olocausto nazista, la shoah, è stato solo il punto d’arrivo di questa secolare, assurda e infame ingiustizia.
Ora, dopo l’olocausto, l’Occidente doveva risolvere il problema di un milione di superstiti dai campi di sterminio nazisti, ma anche l’esigenza di mantenere il controllo dell’area del petrolio secondo l’input degli accordi di Parigi del 1916, noti come di Sykes-Picot, dai nomi dei diplomatici britannico e francese che li siglarono.
L’idea di Israele calzava a pennello: era stata “inventata” da Herzl al Congresso sionista del 1897 a Basilea, mai gradita dalle potenze occidentali, ma portata avanti dai suoi carismatici leader, specie Weizmann e Ben Gurion.
Io, come tanti, credo che in Israele l’Occidente abbia alla fine visto la possibilità di creare un’avanguardia finalizzata al controllo dell’area del petrolio, come al tempo delle Crociate il Regno di Gerusalemme e gli altri staterelli “franchi” Outremer servivano, in definitiva, al controllo dei porti delle spezie lungo la fascia siro-palestinese.
Non vi siete mai chiesti perché evolve tutto, ma non è ancora stato superato il motore a scoppio, obsoleto almeno dagli anni ’50?
Voi forse rispondereste: perché non sono ancora state approntate fonti energetiche alternative.
Niente affatto!
Se solo si volesse, da tempo il petrolio sarebbe stato sostituito da altre fonti energetiche, per giunta più “pulite” a livello ambientale.
Un caso per tutti? La fusione nucleare, i cui progetti di ricerca sono già da anni in stato avanzato, ma bloccati politicamente in forma discreta e “misteriosa”.
Evidentemente le potentissime multinazionali del petrolio, attraverso i loro rappresentanti politici, non intendono perdere il loro potere, finché non avranno il controllo delle nuove situazioni!
Non credete allo strapotere planetario delle multinazionali del petrolio?
Io, dal mio picccolo, posso testimoniare con dei fatti che in Nigeria, dove ho lavorato per un anno nella scuola E. Mattei di Lagos, l’autorità italiana non è rappresentata che formalmente dall’Ambasciata e dai Consolati, bensì di fatto dalla dirigenza ENI.
E l’ENI non è certo tra le più potenti multinazionali del petrolio!
Che potere hanno sulla politica estera e interna dei paesi G8, pr esempio, la Shell e la Exxon? Sicuramente tanto. E, quel che è peggio, non ufficialmente.
Insomma, l’esistenza di Israele serviva e serve tuttora ad uso e consumo degli interessi occidentali sul petrolio. Lo sappiamo tutti. È persino banale ormai ricordarlo e patetico chi ancora cerca di non crederci!
Però, a completare il discorso di prima, Israele serviva anche a liberarsi di quel milione circa di superstiti ebrei dai campi di concentramento nazisti. E questo è già molto meno banale!
La vicenda dell’Exodus è stata solo la più famosa di questa vera e propria odissea.
Persone che avevano perso tutto: casa, averi, familiari, persino l’identità nazionale e quella individuale, erano un problema per la nuova Europa uscita dalla II guerra mondiale.
Molti di questi erano originari dei paesi dell’Europa orientale caduti nell’area di dominio sovietico-stalinista: ovviamente non ci volevano tornare, né sarebbe stato gradito il loro ritorno. Ritorno dove, peraltro? Come ho detto, le loro case le avevano perdute, talora i loro villaggi erano proprio spariti o spostati da uno stato all’altro, in virtù della modifica dei confini. E comunque nessuno li voleva, turbavano troppo le coscienze europee ancora scosse dalla tragedia della guerra!
Ci fu una singolare e inedita convergenza d’interessi, insomma: degli ebrei “sionisti” e dell’Occidente interessato al petrolio e a liberarsi del “rimorso” dell’olocausto.
A non essere d’accordo fu il mondo arabo, già tradito dai citati accordi Sykes-Picot e, forse involontariamente, da Lawrence d’Arabia (così come i sionisti erano stati del resto traditi dopo le lusinghe della dichiarazione Balfour dell’anno dopo).
Il mondo arabo non accettò la famosa risoluzione dell’ONU del novembre del 1947, per cui Egitto, Siria, Libano, Transgiordania e Iraq aggredirono il neonato Israele il 15 maggio del 1948. Un anno dopo Israele aveva già vinto la prima guerra arabo-israeliana imponendosi con la forza, visto che la politica non era servita.
Sarà la costante della storia israeliana fino ad ora.
Al punto che, come ha ricordato Morris, Israele è considerato uno stato tiranno e razzista e, aggiungerei, usurpatore. Specie le sinistre europee e americane (e Hollywood!) hanno ormai bollato come “nazistoide” Israele, al punto che oggi l’antisemitismo europeo è quasi più di “sinistra” che non di “destra”, come voleva la “tradizione”, se si eccettuano casi di nostalgici, come i sostenitori di Le Pen in Francia (i fatti di novembre scorso a Parigi in occasione della partita di calcio fra il Paris SG e l’Hapoël di Tel Aviv parlano chiaro!).
Ora, se ragioniamo un po’, c’è da chiedersi: quale stato non sia tirannico e usurpatore della libertà di qualcuno?
Gli israeliani hanno cacciato di casa circa un milione di Palestinesi sulla base della favola (a cui possono credere davvero solo i nazionalisti sionisti e gli estremisti religiosi) che 2000 anni fa quella era casa loro.
È una “favola”, senza lieto fine peraltro, che qualsiasi persona di buon senso accoglierebbe a risate, se non fosse purtroppo tanto seria. Come se ora mi comparisse alla porta un americano e mi dicesse che discende dagli antichi Liguri che abitavano Genova 2500 anni fa, per cui ha il diritto, secondo la sua religione, di prendere casa mia!
Ma chi può accettare una panzana del genere?
Eppure la quasi totalità degli ebrei è davvero convinta di discendere dai cosiddetti ebrei della Diaspora, altra frottola metastorica che peraltro viene assurdamente e follemente a coincidere con le tesi antisemite, che identificavano negli ebrei non una comunità religiosa, bensì una vera e propria razza (vedi le nostrane Leggi in difesa della razza del 1938!). Ditemi voi cos’hanno in comune, sul piano fisico-antropologico, un ebreo russo biondo con gli occhi azzurri, un falasha etiope nero e con i capelli crespi, uno shinlung dell’India nordorientale con gli occhi a mandorla, un timunita dello Yemen, tanto simile agli oggi odiati arabi!? Dov’è ‘sta “razza” (ormai in antropologia una vera e propria parolaccia, per giunta)??? Il mio illustre concittadino Cavalli Sforza sono sicuro che avrebbe molte difficoltà se cercasse tra la popolazione israeliana un genoma comune! (Ma lui che è una persona seria neanche ci prova!).
L’anno scorso ho conosciuto una bella ragazza israeliana, Sharon, che m’ha detto di avere ascendenze polacche, ungheresi, americane (!) e dall’India: un bell’esempio di razza ebraica, non c’è che dire! O meglio, da dire c’è solo che il risultato era comunque una bella ragazza, come detto!
Demolito razionalmente il mito della legittimità d’Israele, va detto però, a continuare il discorso già avviato, che nessuno stato è nato immune da “colpe” e nella piena legittimità e unanimità di volontà.
Un esempio per tutti? Gli Stati Uniti e tutti gli altri stati americani, sorti sulle ceneri di quello che oggi molti storici americani stessi riconoscono che possa essere chiamato l’”Olocausto americano”: 120 milioni di vittime tra i nativi americani nel corso di quattro secoli secondo Stannard, il il 90% della popolazione del continente americano secondo il grande Todorov, che sottolinea il triste record paragonandolo proprio al grande massacro del XX secolo.
Ma senza andare lontano, l’Italia stessa!
Ma siamo davvero sicuri che il famoso Risorgimento trovasse tutti gli abitanti d’Italia d’accordo, come ci dicono ancora i libri di scuola?
E il brigantaggio? E l’emigrazione forzata?
Oggi, giustamente secondo me, molti storici stanno parlando di una vera e propria pulizia etnica nell’Italia “unificata” dopo il 1861, specie contro le genti del sud e del nordest, quelle meno convinte di essere italiane!
E allora?
Allora, se tutti siamo un po’ illegittimi e usurpatori dei diritti di qualcuno, compresi gli stati arabi e l’Iran, che diritto abbiamo di negare la legittimità di Israele, nato in fondo dalla volontà di libertà, indipendenza e salvezza di quel milione di superstiti di ebrei europei dai campi di concentramento nazisti?
È vero, fa ridere (e piangere) la pretesa sionista del “ritorno a casa”, ma fa ridere anche l’inno italiano, se è per questo, nonché l’idea, più pertinente, di un’unica patria “araba”!
Qualche anno fa Limor Livnat, allora ministra per l’istruzione della destra israeliana, ha detto: “La causa principale della tragedia palestinese fu il rifiuto del mondo arabo-musulmano di accettare che gli ebrei fossero sovrani nel dahr el-islam”.
E non è del tutto errato: se nel mondo arabo-musulmano non ci fosse stata una pretesa, altrettanto mitologica quale quella sionista, di ricostruire il califfato o qualcosa del genere su un territorio strappato agli Ottomani dopo la I guerra mondiale da Inglesi e Francesi (con il concorso delle tribù beduine guidate dal sopra citato Lawrence), non ci sarebbe stato conflitto, sicuramente.
Insomma, e così mi ricollego al mio precedente blog, se non ci fossero le religioni a offuscare le coscienze, pretesti per far guerra probabilmente non ce ne sarebbero!!!!
Invece le religioni ci sono, da sempre corrotte dagli interessi politico-economici, per questo purtroppo Benny Morris ha ragione.
Assisteremo presto al secondo olocausto: l’Iran dei folli ayatollah farà il gioco dell’Occidente delle multinazionali del potere nello svolgere il ruolo di distruttori di Israele e condannando così anche tutto il popolo iraniano stesso alla distruzione o comunque all’infamia.
L’era del petrolio finirà con qesto evento e, dopo una grave crisi mondiale, anche questa addebitata ai poveri Iraniani, l’Occidente delle multinazionali del potere riporterà l’ordine e il benessere grazie a “nuove e miracolose” fonti energetiche.
A meno che, nel frattempo, sulle ceneri del conflitto tra Islam e Occidente non compaia il classico terzo litigante che gode della catastrofe dei primi due: il dragone cinese!
Stamattina su Rainews è stato trasmesso un servizio sull'uso da parte degli americani di armi nucleari, non solo i proiettili arricchiti di uranio, ma anche vere e proprie minibombe di quarta generazione, come sono chiamate, in Iraq (nonché nell'ex Jugoslavia, com'è noto) già dal 1991 e in particolare ai nostri giorni.
Il colmo è che poi hanno la faccia tosta di demonizzare l'Iran, la Corea del Nord e gli altri paesi del cosiddetto "asse del male"!!
Si tratta di una consapevolezza che mi provoca molta tristezza e molta preoccupazione per il futuro!
In particolare per il fatto che il pericolo ce l'abbiamo in casa (vedere il post sulle basi americane in Italia), tra i supposti "amici", piuttosto che tra i presunti "nemici".
E quel che m'intristisce di più è l'ebete indifferenza della massa!
Meno male che almeno qualcuno ci ironizzi sopra: la band israeliana dei Teapacks con Push the Button.
Vedere http://www.musicstarx.net/videos/video-and-lyric-of-push-the-button-teapacks/
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