Ceviche a colazione... il mio primo libro!

17 maggio 2009

Lavoratori della conoscenza

Vorrei proporre il dibattito che ho avviato via email con vari soggetti.
Penso che sia molto attuale.
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Ieri, con un amico che da anni lavora nel mondo della Scuola, abbiamo discusso sul ruolo dei sindacati nella Scuola stessa - secondo lui nefasto - e della definizione che la CGIL ci ha ha assegnato, a noi docenti, ma anche ai cd. ATA, di "Lavoratori della conoscenza", definizione che lui contesta, ma non abbiamo avuto il tempo di approfondire.
Ci ho però riflettuto un po'.
Non conosco la storia di detta definizione. Se tra i lettori di questa mio testo c'è qualcuno che voglia raccontarmela, lo ringrazio anticipatamente.
Del resto immagino che, se i docenti sono stati considerati nella categoria dei lavoratori - laddove un tempo facevano parte di quella degli intellettuali, partecipi dell'élite della società -, addirittura equiparati agli ATA, probablmente c'è lo zampino di un'ideologia "comunista" di fondo, la quale però, secondo la mia modesta opinione, ha spianato la strada alla demolizione della Scuola da parte di chi ha interesse a appiattire il livello culturale e morale della cittadinanza.
Mi spiego meglio.
Io provengo da una famiglia di persone, sia da parte di padre che di madre, che si sono sempre guadagnate il poco pane che serviva loro con il duro lavoro, male retribuito e peggio considerato. Ma con la speranza che almeno la generazione futura potesse migliorare il proprio livello sociale attraverso l'istruzione.
Io e vari miei cugini abbiamo raggiunto e superato il requisito dell'istruzione, ma non abbiamo migliorato più di tanto il nostro livello sociale, anzi, io, in proporzione, guadagno meno di quanto guadagnasse mio padre, pilota di rimorchiatori, mestiere che comunque richiedeva competenze notevoli e gran senso di responsabilità.
E guadagno più o meno quanto guadagna un operaio - anche l'indennità di disoccupazione che ricevo è più o meno equivalente alla cassa integrazione -, la cui professionalità non voglio certo denigrare, mi si intenda bene: voglio solo mettere in rilievo l'appiattimento che si è verificato rispetto al passato tra la classe dei lavoratori e la classe intellettuale.
Alcuni possono pensare che sia giusto questo appiattimento - e sono sicuro che sia soprattutto conveniente per la classe di potere -, personalmente credo di no. E proprio per ragioni che non posso che definire di "sinistra".
Se infatti si sminuiscono e automaticamente si fanno scadere in qualità servizi sociali fondamentali come l'istruzione e la sanità, i cui "lavoratori" dedicano anni e anni della loro vita a una formazione dura e non retribuita, che inoltre dovrebbe permettere loro anche di opinare a ragion veduta sulle cose del mondo - permettetemi di risaltare questa apparentemente semplice prerogativa -, mi sembra evidente che si arrivi alla situazione che stiamo vivendo sempre più: la riduzione degli istituti scolastici e degli ospedali pubblici ad aziende private, dove i lavoratori possano essere trattati come stracci qualsiasi. Come vuole la classe di potere, appunto.
Qualcuno potrebbe rispondermi che non considero il fatto che i docenti lavorino meno ore degli operai, che questi fanno un lavoro più pesante e usurante, che non si può tornare al classismo di un tempo, ecc. ecc.
Sul fatto che i docenti lavorino meno, quantitativamente è vero, ma chi si ferma alla valutazione della quantità pecca di superficialità, come minimo.
Io non ho nessuna esitazione a sostenere che qualitativamente, psicologicamente e emozionalmente il mestiere di insegnante è molto più pesante e usurante di quello di operaio. E non lo dico solo io, lo dicono fior di studi specialistici.
A meno che un operaio non lavori in condizioni di sicurezza non rispettate - cosa che capita sempre più spesso anche a noi: vi ricordo i recenti casi di scuole che crollano - o addirittura con materiali tossici.
Ma quello che voglio tentare di far capire è che se questo operaio lavora in dette situazioni, lo si deve comunque al deperimento voluto della dignità del lavoro, cioè anche all'appiattimento tra le professioni di cui ho detto sopra.
Poi, io che vengo da una famiglia di lavoratori, come detto, non voglio certo il ritorno del classismo - che oggi si è ridotto alla dicotomia tra ricchi che fanno lavorare gli altri e quest'altri, la maggioranza -, ma penso che sia il tempo di restituire al docente la giusta dignità, in un contesto comunque di solidarietà concreta con tutti gli altri membri della società.
Il docente deve essere valorizzato come una delle colonne portanti di una società democratica e solidale e responsabile della sua crescita attraverso la formazione delle nuove generazioni, responsabilità immane, che non tutti possono o vogliono reggere.
Una responsabilità non a caso simile a quella dei medici sopra considerati, a cui è demandata la salute dei cittadini.
Mi aspetto, con questo mio contributo, di stimolare un dibattito proficuo.
Grazie per l'attenzione.
Roberto Marras
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Caro Roberto
non ho il tempo di partecipare al dibattito con l'impegno che meriterebbe ma volevo almeno farti sapere che ho letto tutto e condivido quasi ogni parola di quello che hai scritto.
Buona notte
Enrico Musso
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Grazie, Roberto, per aver avuto il coraggio di denunciare quello che io ho sempre pensato, ma con il timore di esprimere idee, per così dire, snob e classiste. Però tu le hai giustificate con grande correttezza, e condivido.
La consapevolezza che tu hai espresso, secondo me, è anche condizione indispensabile per mantenere credibilità, e quindi ruolo, con i nostri alunni, con le famiglie, con il sistema.
In Italia gli inegnanti sono sempre stati, per definizone, mal pagati, ma almeno un tempo nessuno metteva in dubbio che fossero dei professionisti della cultura, degli intellettuali, con una funzione fondamentale fondamentale nella vita del Paese. Oggi noi siamo considerati dei "lavoratori" e nulla più (magari lavorassimo, almeno!!!) mentre i professionisti beceri della sottocultura dilagante intasano i media.
Che cosa possiamo fare?
Stefania Pagliero
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Caro Roberto,
ho spesso condiviso le tue idee. Questa volta mi sembra di essere su posizioni nettamente opposte. Di più: mi sembra di leggere nelle tue righe quella “sindrome da guerra tra poveri” che proprio le destre hanno cercato e cercano tuttora – riuscendovi – di scatenare.
Come è possibile dire che l’”ideologia comunista” ha portato a questo appiattimento?
Potrei capire quanto scrivi solamente se la nostra storia fosse una “fantastoria” in cui l’Unione Sovietica (attenzione: l’Unione Sovietica e il socialismo reale, non il comunismo) avesse avuto anche il nostro Paese tra i satelliti del Patto di Varsavia.
Così, tuttavia, non è stato.
Il PCI e tutta la sinistra hanno invece dato vita a quell’”eurocomunismo” – dopo la primavera di Praga – che ha lottato duramente per costruire lo stato del welfare che oggi Berluskoni e la sua accolita di bravi stanno cercando – riuscendovi – di demolire.
Nello specifico:
che colpa hanno gli operai ad aver guadagnato come è più di un professore?
Che colpa ha avuto la “ideologia comunista” nel tentativo di difendere i diritti di TUTTI i lavoratori?
Che significa appiattimento?
Ripeto, non eravamo una delle Repubbliche Socialiste Sovietiche.
La scuola ha giovato di quella ideologia, ora detta “massificante” con l’estremo disprezzo di una propaganda anti-’68 che, strumentalmente, punta il dito sul movimento sessantottino e non sugli uomini e sui governi che senza accogliere quanto di meravigliosamente rivoluzionario stava in quel movimento mondiale, quello del ’68 appunto, ne hanno sminuito, svilito, disinnescato i potenziali margini di progresso.
Quell’”ideologia di appiattimento” ha lavorato nel senso della Costituzione repubblicana, nel tentativo di allargare a tutti i cittadini il diritto allo studio (riforma della scuola media), nello sforzo di trovare un canale attraverso cui garantire i diritti a TUTTE LE CATEGORIE dei lavoratori: poi è arrivato il riflusso, la menata propagandistica del merito, il thatcherismo, la reaganomics, i Chicago Boys, Brunetta, con il risultato che adesso siamo qui a misurare quanto sia giusto il livello retributivo tra le diverse categorie di lavoratori.
Storicamente - ne converrai - sono state le conquiste della “classe operaia”, la lotta di QUEI lavoratori, ad allargare il campo dei diritti civili, sociali, politici: è stata – e purtroppo non è più – quella la forza trainante di un progresso che, a cascata, si è riversato sulle altre categorie, sul mondo del lavoro inteso in senso lato. Un insegnante DEVE rconoscerlo.
Non a caso, adesso, è quella la parte più colpita: gli ultraliberisti al potere sanno bene, infatti, che una volta abbattuto l’ultimo ostacolo (Fiom, per fare un esempio), le altre categorie – ivi compresa quella di quegli insegnanti che “dovrebbero guadagnare di più” ma che molto spesso latitano sulle piazze quando c’è da difendere i propri diritti (e non è il tuo caso, né il mio) – resisteranno ben poco.
Comprendo, quindi, quanto tu scrivi e, in parte, posso condividerlo: tuttavia ne contesto fortemente la tempistica. In un momento come questo il tuo discorso non solamente può essere inopportuno, ma addirittura pericoloso.
...
Detto questo, sono convinto anche io che il mestiere dell’insegnante sia usurante come e forse anche più di quello di un operaio: ti esorto, tuttavia, a non considerarti paradigma della classe insegnante. Non è detto che il tuo impegno e livello della tua usura siano gli stessi di molti altri colleghi.
Un abbraccio (con estrema stima)
Marco Traverso
PS: un giorno magari parleremo anche del ruolo dell’URSS nella storia del ‘900...

1 commento:

Roberto ha detto...

Provo a fornire una prima sintetica risposta a Marco Traverso, nei confronti del quale ricambio l'estrema stima e gli riconosco una preparazione e un senso morale fuori del comune.
D'altra parte, non me ne voglia!, trovo in lui anche una tendenza dispersiva e divagante. Provocata – e gli concedo le buone ragioni – dal timore di una “guerra tra poveri” in un momento errato…
Io credo di essere stato molto più concreto e puntuale. E il mio punto di vista è quello di un sostenitore della CGIL, che, assieme ai meno potenti Cobas e affini, oggi è l'unico sindacato degno di questo nome, ma non è detto che in passato non abbia commesso errori e non possa ridiscutere certe definizioni.
Prima di tutto, non ho dato nessuna colpa agli operai né alle loro lotte, di cui riconosco con piena solidarietà e gratitudine il grande valore storico e socio-culturale.
In secondo luogo ho messo “comunismo”, tra virgolette, appunto.
E con questa parola mi sono voluto riferire a una pretestuosità sedicentemente comunista che giustificasse – specie agli occhi dei sostenitori della “sinistra” – l'appiattimento di cui rivendico il significato.
E nei confronti del quale ribadisco la mia contrarietà, sempre per ragioni di “sinistra”: non si possono equiparare intellettuali e docenti, che siano degni di questo nome (grazie, Marco; per avermi avvisato di non considerarmi paradigmatico della categoria, lo considero uno dei più appaganti complimenti che abbia mai ricevuto!), agli operai, i quali del resto non devono essere considerati la working class “plebea”, senza dignità politico-sociale, ma soprattutto senza un salario giusto e senza condizioni di lavoro ottimali, da tutti i punti di vista.
Invece sai bene, caro Marco, che oggi molti operai, specie se “extracomunitari”, sono pagati 800 euro o poco più (o poco meno), per lavorare in condizioni pessime troppe ore alla settimana. E questo in virtù di un ricatto vero e proprio, la vera ragione per cui si discriminano gli “stranieri” e non si dà loro il diritto sacrosanto di voto e tutti gli altri diritti di piena cittadinanza: “se non ti va bene, te ne vai, tanto un altro subito prende il tuo posto!”. E questo ricatto è servito egregiamente anche per gli operai italiani, i quali, per non soffrire la “concorrenza” degli “stranieri” ne hanno accettato le stesse condizioni, nutrendo di conseguenza nei loro confronti un irrazionale atteggiamento xenofobo, artatamente alimentato dalla propaganda politica dei partiti di destra, e che infatti è confluito nel consenso elettorale a favore di Lega e canaglie affini.
Ma neppure questa situazione è colpa degli operai, semmai di chi li rappresenta politicamente e sindacalmente, ma anche e contemporaneamente di una classe di intellettuali e docenti che ha perso la propria autentica identità e indipendenza di educatori e orientatori in una società democratica di pari a causa propriodell'appiattimento che sto denunciando.
Cerco di spiegarmi ancora meglio con un esempio di situazione di sfruttamento grave dei lavoratori in un paese di provenienza di molti immigrati specie qui a Genova: l’Ecuador.
Sabato scorso, alla Fiera Equa e Solidale in piazza Caricamento, io e la mia compagna ecuatoriana Priscila – che ha invitato pure tanti suoi conterranei – abbiamo assistito a un documentario sullo sfruttamento indiscriminato dei lavoratori, avvelenati anche dai pesticidi, nella produzione, a Cayambe, in Ecuador, appunto, di quelle che sono considerate le più pregiate rose del mondo, destinate ai mercati olandese e svizzero.
L’avvento del commercio equo e solidale ha sicuramente migliorato molto questa situazione, senza però risolverla.
Se in Ecuador esistesse una classe di intellettuali e docenti con un’identità e un’indipendenza – anche economica, oltre che politica – solide, non ci sarebbe stato bisogno di un intervento comunque esterno – l’organizzazione internazionale del commercio equo e solidale – per aiutare questi lavoratori! E magari per risolvere anche la loro situazione e non solo la loro (spero che Correa riesca a compensare anche a questa lacuna voluta dalle precedenti amministrazioni)!
Perché un intellettuale degno di questo nome non può che essere al servizio della giustizia sociale e del diritto equi e imparzialmente riconosciuti a tutti senza mettersi al servizio esclusivo di nessuno, come tanti grandi del passato e del presente ci insegnano.
Altrimenti è solo una “mente” meschinamente al soldo di un potente, come i vari Sgarbi, Feltri, Ferrara, ecc.
Ebbene, questa classe di intellettuali (e docenti, che ne fanno naturalmente parte) può essere forte solo se le si riconosce il preciso ruolo e la giusta retribuzione sociali.
Vogliamo quantificare?
Un docente oggigiorno dovrebbe godere di uno stipendio che ammonti almeno a 3000,00 euro mensili. Per un operaio mi sembrano giusti 2000,00 (ma dipende dalle mansioni e dai rischi).
E un ATA non può essere pagato come o più di un docente, il quale deve rimanere la figura più significativa della Scuola e continuare a svilupparsi come tale.
E si badi bene che dette cifre devono essere continuamente indicizzate, in quanto, con il signoraggio delle banche e la loro diabolica pratica della riserva frazionata, l’inflazione cresce continuamente!
E questo è il crimine contro l’umanità che più oggi si dovrebbe combattere con tutte le nostre forze: c’è in gioco la nostra libertà!
Ma per combatterlo occorre anche e soprattutto una classe intellettuale forte, un governo dei migliori di ispirazione platonica che non può che emergere proprio dalla rottura dell’appiattimento degli intellettuali rispetto agli altri lavoratori!
Sto dicendo delle eresie?
A me pare di no!
Roberto!