Ceviche a colazione... il mio primo libro!

28 dicembre 2012

Un articolo sceintifico

I paradossi del voto

L'editoriale di Marco Cattaneo - Le Scienze - edizione italiana di Scientific American 03 gennaio 2013

La Legge n. 270 del 21 dicembre 2005 consta di 11 articoli, è composta con oltre 70.000 caratteri e contiene un numero imprecisato di riferimenti ad altre norme del nostro apparato legislativo. Più due allegati. Detto così pare un indovinello, ma se scrivo porcellum si capisce subito che è la legge elettorale con cui tra poche settimane saremo chiamati a scegliere i nostri rappresentanti alla Camera e al Senato. In altre parole, uno dei peggiori guazzabugli che siano stati concepiti da mente umana dall’invenzione della ruota ai giorni nostri. 
Una legge che – come già dimostrarono anni fa Alberto Petri, Fergal Dalton e Giorgio Pontuale su queste pagine (si veda Un sistema elettorale tutto da rifare, in «Le Scienze » n. 457, settembre 2006) – prevede un premio di maggioranza al Senato su base regionale capace di scambiare, in caso di esito molto equilibrato, i vincitori con i vinti. E, in generale, una legge che pare scritta apposta per subordinare la stabilità di governo ai capricci – se non proprio ai ricatti – di un esiguo numero di parlamentari. È già successo due volte, su due legislature. 
L’aritmetica della democrazia è cosa assai complessa, d’altra parte. Già alla fine del Settecento il marchese di Condorcet, tra i massimi matematici dell’epoca, «era giunto a mettere in dubbio – spiega George Musser a pagina 62 – l’idea illuministica della volontà popolare», dimostrando che i sistemi di voto democratici conducono a paradossi. Se per esempio ci sono tre candidati per un’elezione che si sfidano individualmente (come è il caso di primarie e presidenziali negli Stati Uniti), il risultato può dipendere dall’ordine in cui si svolgono le due votazioni. Le preferenze dell’elettorato, in altri termini, non godono della proprietà transitiva. Molto più tardi, nel 1950, Kenneth Arrow arrivò a dimostrare che l’unico sistema di voto sicuramente non manipolabile è la dittatura, con un teorema che gli valse il premio Nobel per l’economia nel 1972. Un teorema le cui conseguenze, fortunatamente, sono aggirate grazie al fatto che gli elettori, continua Musser, «si trovano lungo uno spettro ideologico che dà alle loro opinioni un certo grado di compatibilità e mutua coerenza». 
Ma c’è dell’altro. Come si mostra nell’articolo "L’efficienza del caso", a pagina 86, un buon sistema elettorale dovrebbe prevedere che un certo numero di parlamentari fosse estratto a sorte in liste di comuni cittadini. Questa evenienza, infatti, aumenterebbe l’efficienza delle Camere e renderebbe più frequente l’approvazione di leggi nell’interesse della collettività. Scienza dell’astrazione per antonomasia, la matematica può dunque offrire contributi rilevanti anche per disciplinare la politica, scienza sociale per definizione. Ma noi no, noi voteremo con il porcellum.

Nessun commento: