Che agonia. Non si può aprire la TV senza vedere le solite
facce di palta che pontificano. Non si può accendere la radio senza sentire le
loro voci odiose. Non si può sfogliare un giornale senza essere sommersi da un
profluvio di dichiarazioni, contraddittorie, immotivate, irrealistiche,
iperboliche. E sono tutti nati ieri. Sono tutti vergini. Non c'è nessuno, che
pur essendo in politica da vent'anni e magari anche da trenta, abbia l'onestà
intellettuale di assumersi, almeno pro quota, qualche responsabilità del
disastro, economico e morale, in cui è caduto il nostro Paese. La rigetta
sull'avversario o presunto tale. Dovrebbe bastare questo spettacolino indecente
per convincere il cittadino che abbia un minimo di discernimento a dire: sapete
qual è la novità? Io non voto, non vengo a legittimarvi, per l'ennesima volta,
a comandarmi per altri cinque anni dovendovi anche pagare profumatamente.
La democrazia rappresentativa è una finzione il cui rito
culminante sono le elezioni. Lo è tanto più oggi che, dopo la caduta del
comunismo, tutti i partiti, a parte qualche eccezione senza rilievo, hanno
accettato quel libero mercato che, insieme al modello industriale, è il
meccanismo reale che detta le condizioni della nostra esistenza, i nostri stili
e ritmi di vita e di cui le democrazia è solo l'involucro legittimante, la carta
più o meno luccicante che avvolge la polpetta avvelenata. Le antiche categorie
di destra e sinistra non hanno più senso (ammesso che lo abbiano mai avuto
perché il marxismo non è che l'altra faccia della stessa medaglia:
l'industrialismo). Non esistono più le classi, ma un enorme ceto medio
indifferenziato che ha, più o meno, gli stessi interessi. Tuttavia questo ceto
medio, per abitudine, per il martellante lavaggio del cervello da parte dei
media legati alla classe politica (l'unica rimasta su piazza) si divide fra
destra e sinistra con la stessa razionalità con cui si tifa Roma invece che
Lazio, Milan o Inter. E quando il cosiddetto 'popolo della sinistra' (o della
destra) scende in piazza per celebrare qualche vittoria elettorale, ballando,
cantando, saltando, agitandosi, è particolarmente patetico perché i vantaggi che
trae da quella vittoria sono puramente immaginari o, nella migliore delle
ipotesi, sentimentali, mentre i ricavi reali vanno non a questi spettatori
illusi ma a chi sta giocando la partita del potere (la 'casta' per dirla con
Gian Antonio Stella). Ad ogni tornata elettorale c'è un solo sconfitto sicuro,
che non è la fazione che l'ha perduta (che verrà ripagata nel sottogoverno in
attesa, al prossimo giro, di restituire il favore) ma proprio quel popolo
festante insieme a quell'altro che è rimasto a casa a masticare amaro per le
stesse irragionevoli ragioni per cui l'altro è sceso in piazza. Vincano i
giocatori dell'Inter o del Milan è sempre lo spettatore a pagare lo
spettacolo.
Massimo Fini - 12/02/2013
http://www.ariannaeditrice.it/articolo.php?id_articolo=45028
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