Eduardo Galeano - 07.05.2009
Voglio condividere alcune domande, idee che mi ronzano in testa.
È giusta la giustizia? È salda sulle sue gambe la giustizia del mondo alla rovescia?
Il lanciascarpe dell'Iraq, colui che tirò le scarpe contro Bush, è stato condannato a tre anni di carcere. Non meritava invece una onorificenza?
Chi è il terrorista? Colui che lancia le scarpe o colui che le riceve? Non è forse colpevole di terrorismo il serial killer che, mentendo, inventò la guerra dell'Iraq, assassinò un mucchio di gente, legalizzò la tortura e ordinò di utilizzarla?
Sono forse colpevoli gli abitanti di Atenco, nel Messico, o gli indigeni mapuches del Cile, o gli kekchíes del Guatemala, o i contadini senza terra del Brasile, tutti accusati di terrorismo per aver difeso il loro diritto alla terra? Se la terra è sacra, anche se la legge non lo dice, non sono forse sacri pure coloro che la difendono?
Secondo la rivista Foreign Policy, la Somalia è il posto più pericoloso di tutti. Ma chi sono i pirati? I morti di fame che assaltano le navi, o gli speculatori di Wall Street, che da anni assaltano il mondo e adesso ricevono ricompense multimilionarie per le loro fatiche?
Perché mai il mondo premia coloro che lo spogliano?
Perché mai la giustizia è cieca da un occhio solo?
Walmart, l'impresa più potente di tutte, proibisce i sindacati.
MacDonald's pure.
Perché mai queste imprese violano, con delinquente impunità, la legge internazionale? Sarà forse perché nel mondo di oggigiorno il lavoro vale meno della spazzatura, e ancora meno valgono i diritti dei lavoratori?
Chi sono i giusti, e chi sono gli ingiusti?
Gli intoccabili delle cinque potenze
Se la giustizia internazionale esiste davvero, perché non giudica mai i potenti? Non sono in prigione gli autori delle stragi più feroci. Sarà forse perché sono loro ad avere le chiavi delle prigioni?
Perché mai sono intoccabili le cinque potenze che hanno il diritto di veto alle Nazioni Unite?
Quel diritto ha forse un'origine divina? Vegliano forse sulla pace coloro che fanno gli affari della guerra? È forse giusto che la pace mondiale dipenda dalle cinque potenze che sono le principali produttrici di armi? Senza disprezzare i narcotrafficanti, non è anche questo un caso di «crimine organizzato»?
Ma non pretendono il castigo contro i padroni del mondo le grida di coloro che, dappertutto, chiedono la pena di morte. Ci mancherebbe altro. Le grida gridano contro gli assassini che usano il coltello, non contro quelli che usano missili.
E io mi domando: giacché quei giustizieri hanno una voglia matta di uccidere, perché mai non chiedono la pena di morte contro l'ingiustizia sociale? È forse giusto un mondo che ogni minuto destina tre milioni di dollari alle spese militari, mentre ogni minuto muoiono quindici bambini per fame o malattia curabile? Contro chi si arma, fino ai denti, la cosiddetta comunità internazionale? Contro la povertà o contro i poveri?
Il crimine della pubblicità
Perché mai i fervidi sostenitori della pena capitale non chiedono la pena di morte contro i valori della società dei consumi, che quotidianamente attenta contro la pubblica sicurezza? O non invita forse al crimine il bombardamento della pubblicità che stordisce milioni e milioni di giovani disoccupati, o mal pagati, ripetendogli giorno e notte che essere è avere, avere un'automobile, avere scarpe di marca, avere, avere, e che chi non ha non è?
E perché mai non si stabilisce la pena di morte contro la morte? Il mondo è organizzato al servizio della morte. O non fabbrica forse morte l'industria militare, che divora la maggior parte delle nostre risorse e buona parte delle nostre energie? I padroni del mondo condannano la violenza solo quando la esercitano altri. E questo monopolio della violenza si traduce in un fatto inspiegabile per gli extraterrestri, e anche insopportabile per noi terrestri che, contro ogni certezza, vogliamo ancora sopravvivere: noi uomini siamo gli unici animali specializzati nello sterminio reciproco, e abbiamo sviluppato una tecnologia della distruzione che, en passant, sta distruggendo il pianeta e tutti i suoi abitanti.
I dittatori della paura
Quella tecnologia si alimenta di paura. È la paura che fabbrica i nemici che giustificano lo spreco militare e poliziesco. E già che ci siamo con la pena di morte, perché mai non condanniamo a morte la paura? Non sarebbe forse sano farla finita con questa dittatura universale degli spaventatori professionali? Coloro che seminano il panico ci condannano alla solitudine, ci proibiscono la solidarietà: si salvi chi può, schiacciatevi reciprocamente, il prossimo è sempre un pericolo in agguato, occhio, fa' molta attenzione, questo ti ruberà, quello ti violenterà, quella carrozzina nasconde una bomba musulmana e se quella donna ti guarda, quella vicina dall'aspetto innocente, di sicuro ti attacca la peste suina.
Nel mondo alla rovescia, fanno paura anche i più elementari atti di giustizia e il buon senso.
L'ordine razzista tradizionale
Quando il presidente Evo Morales iniziò la rifondazione della Bolivia, perché questo paese di maggioranza indigena smettesse di avere vergogna di guardarsi allo specchio, provocò il panico. Questa sfida era catastrofica dal punto di vista dell'ordine razzista tradizionale, che diceva di essere l'unico ordine possibile: Evo portava con sé il caos e la violenza, e per colpa sua l'unità nazionale sarebbe esplosa in mille pezzi. E quando il presidente dell'Ecuador Rafael Correa annunciò che si rifiutava di pagare i debiti non pertinenti, la notizia diffuse il panico nel mondo finanziario e l'Ecuador venne minacciato di castighi terribili per aver dato un esempio così cattivo. Se le dittature militari e i politici ladri sono stati sempre coccolati dalla Banca Mondiale, non ci siamo forse ormai abituati ad accettare come fatalità del destino che il popolo paghi il bastone che lo colpisce e l'avidità che lo saccheggia?
Ma non sarà che il buon sen so e la giustizia hanno divorziato per sempre?
Ma non erano forse nati per camminare insieme, vicini vicini, il buon senso e la giustizia?
Non è forse giusta e di buon senso quella frase delle femministe per cui se noi maschi rimanessimo incinta, l'aborto sarebbe libero? Perché mai non si legalizza il diritto all'aborto? Sarà forse perché allora smetterebbe di essere il privilegio delle donne che possono pagarlo e dei medici che possono farlo pagare?
Perché non si legalizza la droga?
La stessa cosa accade con un altro scandaloso caso di negazione della giustizia e del buon senso: Perché mai non si legalizza la droga? Non è forse, come l'aborto, un tema di salute pubblica? E il paese con più drogati che razza di autorità morale possiede per condannare coloro che riforniscono la sua domanda? E perché i grandi mezzi di comunicazione, così consacrati alla guerra contro il flagello della droga, non dicono mai che proviene dall'Afganistan quasi tutta l'eroina che si consuma al mondo? Chi governa in Afganistan? Non è forse quello un paese militarmente occupato dal messianico paese che si attribuisce la missione di salvarci tutti?
Perché mai non si legalizzano le droghe una volta per tutte? Non sarà forse perché forniscono il pretesto migliore per le invasioni militari, oltre a fornire i guadagni più succulenti alle grandi banche che di notte lavorano come lavanderie?
Adesso il mondo è triste perché si vendono meno auto. Una delle conseguenze della crisi mondiale è la caduta della prospera industria dell'automobile. Se avessimo qualche briciola di buon senso, e un pochettino di senso della giustizia non dovremmo forse celebrare quella buona notizia? La diminuzione delle automobili non è forse una buona notizia, dal punto di vista della natura, che sarà un po' meno avvelenata, e da quello dei pedoni che moriranno un pochino meno?
Ma la Storia non finisce
Secondo Lewis Carroll, la Regina spiegò ad Alice come funziona la giustizia nel paese delle meraviglie:
È là - disse la Regina-. È rinchiuso in prigione, scontando la sua condanna; ma il processo non inizierà fino a mercoledì prossimo. E, naturalmente, il crimine sarà commesso alla fine.
Nel Salvador, l'arcivescovo Oscar Arnulfo Romero constatò che la giustizia, come il serpente, morde solo gli scalzi. Lui morì a colpi d'arma da fuoco, per aver denunciato che nel suo paese gli scalzi nascevano condannati in partenza, colpevoli di esser nati. Il risultato delle recenti elezioni nel Salvador non è forse in qualche modo un omaggio? Un omaggio all'arcivescovo Romero e alle migliaia che, come lui, morirono lottando per una giustizia giusta nel regno dell'ingiustizia?
A volte finiscono male le storie della Storia; ma lei, la Storia, non finisce.
Quando dice addio, dice arrivederci.
traduzione Marcella Trambaioli
http://www.pagina12.com.ar/diario/contratapa/13-124547-2009-05-08.html
Disculpen la molestia
Por Eduardo Galeano
Quiero compartir algunas preguntas, moscas que me zumban en la cabeza.
¿Es justa la justicia? ¿Está parada sobre sus pies la justicia del mundo al revés?
El zapatista de Irak, el que arrojó los zapatazos contra Bush, fue condenado a tres años de cárcel. ¿No merecía, más bien, una condecoración?
¿Quién es el terrorista? ¿El zapatista o el zapateado? ¿No es culpable de terrorismo el serial killer que mintiendo inventó la guerra de Irak, asesinó a un gentío y legalizó la tortura y mandó aplicarla?
¿Son culpables los pobladores de Atenco, en México, o los indígenas mapuches de Chile, o los kekchíes de Guatemala, o los campesinos sin tierra de Brasil, acusados todos de terrorismo por defender su derecho a la tierra? Si sagrada es la tierra, aunque la ley no lo diga, ¿no son sagrados, también, quienes la defienden?
Según la revista Foreign Policy, Somalia es el lugar más peligroso de todos. Pero, ¿quiénes son los piratas? ¿Los muertos de hambre que asaltan barcos o los especuladores de Wall Street, que llevan años asaltando el mundo y ahora reciben multimillonarias recompensas por sus afanes?
¿Por qué el mundo premia a quienes lo desvalijan?
¿Por qué la justicia es ciega de un solo ojo? Wal Mart, la empresa más poderosa de todas, prohíbe los sindicatos. McDonald’s, también. ¿Por qué estas empresas violan, con delincuente impunidad, la ley internacional? ¿Será porque en el mundo de nuestro tiempo el trabajo vale menos que la basura y menos todavía valen los derechos de los trabajadores?
¿Quiénes son los justos y quiénes los injustos? Si la justicia internacional de veras existe, ¿por qué nunca juzga a los poderosos? No van presos los autores de las más feroces carnicerías. ¿Será porque son ellos quienes tienen las llaves de las cárceles?
¿Por qué son intocables las cinco potencias que tienen derecho de veto en las Naciones Unidas? ¿Ese derecho tiene origen divino? ¿Velan por la paz los que hacen el negocio de la guerra? ¿Es justo que la paz mundial esté a cargo de las cinco potencias que son las principales productoras de armas? Sin despreciar a los narcotraficantes, ¿no es éste también un caso de “crimen organizado”?
Pero no demandan castigo contra los amos del mundo los clamores de quienes exigen, en todas partes, la pena de muerte. Faltaba más. Los clamores claman contra los asesinos que usan navajas, no contra los que usan misiles.
Y uno se pregunta: ya que esos justicieros están tan locos de ganas de matar, ¿por qué no exigen la pena de muerte contra la injusticia social? ¿Es justo un mundo que cada minuto destina tres millones de dólares a los gastos militares, mientras cada minuto mueren quince niños por hambre o enfermedad curable? ¿Contra quién se arma, hasta los dientes, la llamada comunidad internacional? ¿Contra la pobreza o contra los pobres?
¿Por qué los fervorosos de la pena capital no exigen la pena de muerte contra los valores de la sociedad de consumo, que cotidianamente atentan contra la seguridad pública? ¿O acaso no invita al crimen el bombardeo de la publicidad que aturde a millones y millones de jóvenes desempleados, o mal pagados, repitiéndoles noche y día que ser es tener, tener un automóvil, tener zapatos de marca, tener, tener, y quien no tiene, no es?
¿Y por qué no se implanta la pena de muerte contra la muerte? El mundo está organizado al servicio de la muerte. ¿O no fabrica muerte la industria militar, que devora la mayor parte de nuestros recursos y buena parte de nuestras energías? Los amos del mundo sólo condenan la violencia cuando la ejercen otros. Y este monopolio de la violencia se traduce en un hecho inexplicable para los extraterrestres, y también insoportable para los terrestres que todavía queremos, contra toda evidencia, sobrevivir: los humanos somos los únicos animales especializados en el exterminio mutuo, y hemos desarrollado una tecnología de la destrucción que está aniquilando, de paso, al planeta y a todos sus habitantes.
Esa tecnología se alimenta del miedo. Es el miedo quien fabrica los enemigos que justifican el derroche militar y policial. Y en tren de implantar la pena de muerte, ¿qué tal si condenamos a muerte al miedo? ¿No sería sano acabar con esta dictadura universal de los asustadores profesionales? Los sembradores de pánicos nos condenan a la soledad, nos prohíben la solidaridad: sálvese quien pueda, aplastaos los unos a los otros, el prójimo es siempre un peligro que acecha, ojo, mucho cuidado, éste te robará, aquél te violará, ese cochecito de bebé esconde una bomba musulmana y si esa mujer te mira, esa vecina de aspecto inocente, es seguro que te contagia la peste porcina.
En el mundo al revés, dan miedo hasta los más elementales actos de justicia y sentido común. Cuando el presidente Evo Morales inició la refundación de Bolivia, para que este país de mayoría indígena dejara de tener vergüenza de mirarse al espejo, provocó pánico. Este desafío era catastrófico desde el punto de vista del orden racista tradicional, que decía ser el único orden posible: Evo era, traía el caos y la violencia, y por su culpa la unidad nacional iba a estallar, rota en pedazos. Y cuando el presidente ecuatoriano Correa anunció que se negaba a pagar las deudas no legítimas, la noticia produjo terror en el mundo financiero y el Ecuador fue amenazado con terribles castigos, por estar dando tan mal ejemplo. Si las dictaduras militares y los políticos ladrones han sido siempre mimados por la banca internacional, ¿no nos hemos acostumbrado ya a aceptar como fatalidad del destino que el pueblo pague el garrote que lo golpea y la codicia que lo saquea?
Pero, ¿será que han sido divorciados para siempre jamás el sentido común y la justicia?
¿No nacieron para caminar juntos, bien pegaditos, el sentido común y la justicia?
¿No es de sentido común, y también de justicia, ese lema de las feministas que dicen que si nosotros, los machos, quedáramos embarazados, el aborto sería libre? ¿Por qué no se legaliza el derecho al aborto? ¿Será porque entonces dejaría de ser el privilegio de las mujeres que pueden pagarlo y de los médicos que pueden cobrarlo?
Lo mismo ocurre con otro escandaloso caso de negación de la justicia y el sentido común: ¿por qué no se legaliza la droga? ¿Acaso no es, como el aborto, un tema de salud pública? Y el país que más drogadictos contiene, ¿qué autoridad moral tiene para condenar a quienes abastecen su demanda? ¿Y por qué los grandes medios de comunicación, tan consagrados a la guerra contra el flagelo de la droga, jamás dicen que proviene de Afganistán casi toda la heroína que se consume en el mundo? ¿Quién manda en Afganistán? ¿No es ese un país militarmente ocupado por el mesiánico país que se atribuye la misión de salvarnos a todos?
¿Por qué no se legalizan las drogas de una buena vez? ¿No será porque brindan el mejor pretexto para las invasiones militares, además de brindar las más jugosas ganancias a los grandes bancos que en las noches trabajan como lavanderías?
Ahora el mundo está triste porque se venden menos autos. Una de las consecuencias de la crisis mundial es la caída de la próspera industria del automóvil. Si tuviéramos algún resto de sentido común, y alguito de sentido de la justicia ¿no tendríamos que celebrar esa buena noticia? ¿O acaso la disminución de los automóviles no es una buena noticia, desde el punto de vista de la naturaleza, que estará un poquito menos envenenada, y de los peatones, que morirán un poquito menos?
Según Lewis Carroll, la Reina explicó a Alicia cómo funciona la justicia en el país de las maravillas:
–Ahí lo tienes –dijo la Reina–. Está encerrado en la cárcel, cumpliendo su condena; pero el juicio no empezará hasta el próximo miércoles. Y por supuesto, el crimen será cometido al final.
En El Salvador, el arzobispo Oscar Arnulfo Romero comprobó que la justicia, como la serpiente, sólo muerde a los descalzos. El murió a balazos, por denunciar que en su país los descalzos nacían de antemano condenados, por delito de nacimiento.
El resultado de las recientes elecciones en El Salvador, ¿no es de alguna manera un homenaje? ¿Un homenaje al arzobispo Romero y a los miles que como él murieron luchando por una justicia justa en el reino de la injusticia?
A veces terminan mal las historias de la Historia; pero ella, la Historia, no termina. Cuando dice adiós, dice hasta luego.
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