All’ennesima esternazione del nostro Presidente del Consiglio, secondo cui lui e la sua coalizione di governo non vogliono un’Italia multietnica, intendo replicare pure io, oltre a tanti altri, compresa la CEI, con la quale non mi trovo certo spesso in sintonia.
Intendo replicarvi perché mi sento colpito personalmente, nella mia storia personale e nella mia formazione intellettuale e professionale.
Inizio col dire che la definizione di etnia nel dizionario della lingua italiana del De Mauro recita così: “raggruppamento umano basato su comuni caratteri fisici, storico–demografici, linguistici e culturali”.
Bene, io, sulla base di detta definizione, sono multietnico, in quanto mio padre era sardo di Santa Teresa di Gallura, chiamata dai locali Lungoni, e la sua lingua madre era il lungunesu, varietà di gallurese che a sua volta è una varietà di corso e in quanto tale si differenzia notevolmente dal sardo logudorese-campidanese che domina, in diverse varietà, dalla regione a sud di Sassari sino a Cagliari.
E come tutti i lungunesi, mio padre, da parte di madre, aveva appunto anche marcanti radici corse: il mio bisnonno era nativo di Sartene, lo stesso paesino di montagna del sudovest dell’isola dove Dumas padre ha ambientato il romanzo I fratelli corsi.
Da parte paterna, invece, mio padre discendeva da una specie di personaggio mitico, suo bisnonno, capostipite dei Marras della zona, ma originario di Santu Lussurgiu – nell’oristanese, area da tempo immemore sardo-punica –, descritto dalla leggenda come un omone alto due metri e completamente di pelo rosso, aspetto singolare per un sardo – per inciso, ancora oggi ho vari cugini di pelo rosso e altri alti intorno al metro e novanta che attestano con la loro semplice esistenza la verdicità di questa descrizione leggendaria.
Però mia madre è di Marina di Patti, in Sicilia, nella provincia di Messina, di fronte alle Eolie, non lontano dal promontorio di Milazzo.
Un’area per giunta particolare della Sicilia, dove la storia e la glottologia ci raccontano che vi dominano ancora gli idiomi cosiddetti gallo-siculi – anche se nel caso del paese di mia madre, marginalmente –, cioè le lingue delle genti “lombarde” (cioè di origine longobarda) del nord d’Italia che il re normanno Guglielmo I il Malo inurbò in zone ribelli della Sicilia orientale nel XII secolo. A palesare questa particolarità ci sarebbero in me i miei occhi azzurri, ereditati proprio dalla famiglia di mia madre.
Peraltro, mio padre e mia madre si sono conosciuti a Genova, dove entrambi erano migrati, come tanti altri Italiani del sud e delle isole, nel 1959. E io sono nato a Zena nel 1966.
Nel capoluogo ligure, quando ero ragazzo (ma ancora adesso!), ero chiamato “il sardo”, per via della marcata sardità del mio cognome (che invero ho scoperto in seguito a recente ricerca che è abbastanza diffuso anche in Grecia, in Spagna, in Francia e persino in Inghilterra), ed era troppo complicato e anche vano spiegare che le mie radici sono un po’ più complesse.
In Sardegna del resto ero chiamato “il genovese”, anche da chi conosceva bene la mia famiglia paterna.
A rimarcare il carattere della mia identità personale che definirla multietnica è un’ovvietà quasi banale.
Basterebbero queste poche righe che raccontano in estrema e significativa sintesi la mia storia familiare – ma secondo un amico che la conosce, la storia d’Italia, invero – per spiegare la ragione per cui mi sento offeso dall’idiozia pronunciata dal nostro Presidente del Consiglio, che si rivela per l’ennesima volta profondamente ignorante della storia del Paese che governa.
Senonché c’è anche una storia più specificamente personale e, come dicevo, la mia formazione intellettuale e professionale che mi collocano agli antipodi rispetto a una tale asserzione.
Chi mi conosce sa che ho vissuto un’abbastanza lunga e comunque intensa esperienza di vita e lavoro all’estero, in tre paesi africani, Tunisia, Eritrea e Nigeria, nonché in Brasile, dove ho vissuto il soggiorno più lungo e radicale, quattro anni e qualcosa.
In questi anni, oltre che sviluppare il mio multilinguismo pratico – in concomitanza a quello teorico dei miei studi – ho sofferto sulla mia pelle o ho visto soffrire più che mai i biechi stereotipi del razzismo, il disagio dei reietti, degli emarginati, della gente considerata inferiore dalla cultura dominante. E contemporaneamente ho assimilato profondamente la vitale importanza dei diritti umani, la consapevolezza dell’urgenza di valori comuni riconosciuti e applicati, la falsità e l’ingannevolezza delle presunte identità nazionali o quali che siano, laddove le differenze di costumi e di lingua devono essere valorizzate come patrimonio comune dell’umanità, non esaltate o disprezzate come dogmi da imporre violentemente prima che altrove sulla particolarità degli individui, quindi sul carattere delle cosiddette nazioni, necessariamente poste le une in conflitto con le altre dal nefasto sistema nazionalista.
Per questo sono anche offeso dalla tristemente stupida asserzione del nostro Presidente del Consiglio.
Ma non solo per questo. Per i miei studi appunto!
Prima ho accennato al fatto che un amico ha definito la mia storia familiare la storia d’Italia. Ebbene, il nostro Presidente del Consiglio, per essere degno di guidare questo Paese, dovrebbe appunto sapere che se c’è un carattere peculiare della nazione italiana è proprio la multietnicità, la multiculturalità, l’interculturalità, chiamatela come vi pare.
Più semplicemente si potrebbe chiamarla la relazione umana.
L’Italia è uno dei paesi dove meglio di altrove s’è realizzata l’arte dell’incontro che secondo il grande poeta e cantante brasiliano Vinicius de Moraes altro non è poi che la vita stessa.
E non da oggi.
Almeno dal neolitico in poi!!
Ogni insegnante di Storia dovrebbe sapere bene infatti come all’epoca della cosiddetta Unità d’Italia, proclamata il 17 marzo del 1861 – scommetto che non tutti gli “Italiani” ne conoscono precisamente il giorno e il mese, forse neanche l’anno –, dei circa 20/22 milioni di abitanti dell’allora territorio italiano, oltre l’80% era analfabeta e naturalmente non conosceva la lingua italiana, che era prerogativa – ma non è detto che la parlasse – solo dell’élite colta. Secondo una statistica che ho letto non ricordo dove, addirittura appena 600.000 neocittadini (o meglio neosudditi) italiani erano in grado di parlare l’italiano, circa il 2% o poco più della popolazione, praticamente solo i Toscani e pochi altri.
In tal senso va intesa la famosa frase programmatica del celebre politico piemontese Massimo D’Azeglio: “Abbiamo fatto l'Italia. Ora si tratta di fare gli Italiani” (alcuni non la attribuiscono a lui, ma è irrilevante).
Quindi, se ci rifacciamo alla precedentemente citata definizione del De Mauro, gli Italiani non erano certo un’etnia!!! Erano tante etnie, che parlavano diverse lingue, a volte molto diverse, perché, senza tirare in ballo gli “allofoni” presenti nel territorio italiano da secoli: gli Albanesi di Sicilia, di Calabria e di Puglia, gli Sloveni del Friuli, i Sud-Tirolesi dell’Alto Adige, gli Occitani del Cuneense e dintorni, i Franco-Provenzali della Val d’Aosta, i Croati di Abruzzo e Molise, i Grecanici di Calabria, i Rom e i Sinti sparsi qua e là, ecc., non mi direte che sono affini tra loro lingue come il napoletano o il friulano? Il sardo o il bergamasco?
E, ripeto, questa estrema multietnicità italiana è una peculiarità della nostra nazione almeno dal neolitico in poi.
Non voglio qui parlare del fatto che prima della romanizzazione e quindi della latinizzazione dell’Italia, vi esistevano vitali almeno 14/15 gruppi linguistici differenti (anzi, probabilmente erano di più, è la nostra nozione che è carente), la maggior parte non appartenenti alla cosiddetta famiglia indoeuropea (i più importanti dei non indoeuropei erano quello etrusco e quello semitico dei fenicio-punici, che parlavano una lingua strettamente imparentata all’ebraico), e a cui si ascrivevano tantissime etnie diverse e spesso in conflitto tra loro.
Né voglio ricordare, specie ai latinisti, come a Roma, nell’età classica, si parlasse più greco che latino: ce l’attestano Svetonio e Cassio Dione, allorché ci raccontano che le utime parole di Cesare furono “Καì σύ, τέκνον”, rivolte a Bruto – e non, come si riporta ancora in certi libri di Storia romana l’equivalente latino “Tu quoque, Brute, fili mi!” – ma ce l’attesta soprattutto Giovenale, allorché si lamenta del fatto che ai suoi tempi a Roma non si parlasse più la lingua degli avi perché “Ormai da tempo / l'Oronte di Siria sfocia nel Tevere / e con sé rovescia idiomi e costumi” [“iam pridem Syrus in Tiberim defluxit Orontes / et linguam et mores”, Saturae III].
L’Oronte di Siria, cioè l’odierno Asi che scorre tra Libano e Siria, è un riferimento alla notevole immigrazione nell’urbe, voluta dai Romani stessi, di Siro-greci di Antiochia e dintorni, deportativi come schiavi, ma presto liberti spesso potenti e ricchissimi, grazie alla loro cultura e competenze superiori, come fu infatti Pallante, “eminenza grigia” dell’imperatore Claudio, e come ci attesta anche, sia pure in negativo, Petronio nel suo Satyricon.
E questi Siro-greci sono sicuramente gli antenati anche della gente di Lunigiana: per il corso di Storia romana all’Università, ho studiato delle epigrafi latine che attestano come in epoca classica la colonia romana di Luna era stata popolata in massa da questa gente, esperti marmisti, perché lavorasse nelle cave del prezioso marmo delle vicine Alpi Apuane.
Voglio invece appunto ricordare come Roma, considerata fin dalla nascita del nostro Stato l’antenata celebre, il prototipo da recuperare, il simbolo nazionalista più possente, fosse un impero straordinariamente multietnico dove il civis, il cittadino romano, specie a partire dall’editto di Caracalla del 212 d.C., poteva anche parlare il latino, sì, ma non necessariamente, e comunque la sua lingua madre era sicuramente diversa: italica, ma anche gallica, berbera, iberica, greca, aramaica, egizia, libica, traco-illirica, germanica, ecc.
E non solo: come ha detto provocatoriamente Moni Ovadia tante volte – anche alla Festa dell’Europa del 9 maggio, organizzata a Villa Rosazza dal Centro in Europa –, il mitico progenitore di Roma era un “turco”, nel senso che proveniva dall’attuale Turchia, si chiamava Enea e su di lui Virgilio ha scritto il poema nazionale romano, l’Eneide, che ancora adesso si studia nelle nostre scuole!
E che dire del Cristianesimo, altro possente carattere nazionale italiano, dagli Italiani appunto ereditato da Roma (anche se, per quanto mi riguarda, devo confessarlo, con qualche eccezione avrei fatto volentieri a meno di questa eredità)?
Come ha sempre ricordato Moni Ovadia alla Festa dell’Europa del 9 maggio – davanti a quel grande uomo e grande prete (una delle eccezioni) che è Don Gallo –, Cristo stesso si presenta come uno straniero, chiede di amare lo straniero come sé stessi e ammonisce i seguaci dal non fargli del male, perché farebbero del male a lui!
Non a caso e doverosamente la CEI s’è sentita chiamata in causa in seguito alle dementi parole del nostro Presidente del Consiglio.
E a proposito di demenza, rilevo come Bossi e i leghisti in genere si siano arrogati il merito di aver ispirato questa linea del governo.
A parte il fatto che non se ne aveva dubbi, vorrei a tal punto e una volta per tutte sfatare il mito della Lega in quanto movimento politico federalista.
Se all’inizio della sua storia ha ingannato qualche sincero federalista – di quelli veri, come me, che derivano le loro idee da Carlo Cattaneo, Ernesto Rossi, Altiero Spinelli, il Movimento Federalista Europeo, ecc. – da quando ha cominciato a aizzare i sentimenti razzisti della gente del nord (e non solo) – prima contro noi “meridionali”, più recentemente contro gli “extracomunitari”! – solo per guadagnare voti e quindi potere politico, in realtà ha mostrato la sua vera natura: di nuovo mostro “nazifascista” che vuole portarci a una nuova rovina!
Anche il già citato Moni Ovadia già da tempo, ma non solo lui, ha fatto notare che la strategia leghista razzista e terrorista – finalizzata a stimolare e sfruttare nella popolazione la paura del diverso visto come un nemico – è la stessa che ha adottato dichiaratamente Hitler in Germania per conquistare il potere.
Gli “ebrei” di oggi sono i candestini extracomunitari, i “comunisti” quelli che li aiutano. “La sinistra che ha aperto le porte ai clandestini”, come ha detto il nostro Presidente del Consiglio.
Umberto Galimberti ha rilevato come la paura/odio del diverso, straniero, omosessuale, zingaro, “comunista”, ecc. è tipica di chi ha invero un’identità debole e cerca di distruggere il diverso che è in lui distruggendo l’altro, come per autoconvincersi della fermezza della propria identità elettiva, invero fatiscente.
È una chiave di lettura interessante, per quanto non l’unica, che spiega tante cose dei comportamenti assurdi dell’”uomo moderno”, compreso il leghismo, che infatti si basa su un fenomeno di costruzione di un’identità, quella padana, che non è mai esistita né esiste di fatto neppure oggi quando è tanto declamata.
Tant’è vero che ormai non c’è più tanta differenza nel presentarsi tra leghisti e fascisti, che in teoria dovrebbero essere in contrasto tra loro perché i primi sarebbero secessionisti, i secondi nazionalisti unionisti, ma in realtà s’incontrano bene nella xenofobia violenta e nella sete di potere.
Concludo questo mio oceanico contributo alla questione della multietnicità italiana sgradita al nostro Presidente del Consiglio, con un rimando anche all’ossessione (e all’affare economico) preferita dagli Italiani, cioè il calcio.
A parte il fatto che il Milan del nostro Presidente del Consiglio stesso è comunque una squadra multietnica, e dovrebbe stare attento a non offendere i suoi campioni stranieri, che magari, se fossero dignitosi, potrebbero decidere di cambiare aria, vorrei ricordare che tutte le nazionali italiane che hanno vinto la coppa del mondo sono state multietniche.
Quelle del 1930 e del 1934, a parte la varietà regionale di tutte che tralasciamo pure, erano infatti imbottite di “oriundi”, argentinos e uruguayos in particolare (Luis Felipe Monti che aveva già vinto la coppa del 1930 con la maglia dell'Uruguay, Enrique Lucas Gonzales Guaita, il gran ballerino di tango Raimundo Bibian Orsi e Miguel Andreolo, tanto per ricordare i più famosi), quella del 1982 vantava tra le sue fila l’irriducibile italo-libico Claudio Gentile, che ha annullato avversari del calbro di Maradona, tanto per fare un nome non qualsiasi, mentre l’ultima del 2006, a parte l’oriundo argentino Mauro Germán Camoranesi, con la sua faccia da indio, aveva e ha come perno del centrocampo quell’Andrea Pirlo che non ama parlare molto delle sue radici rom.
Insomma, non solo l’Italia è da sempre multietnica, quindi rinnegare questo suo carattere significa rinnegarla tout court, ma se non lo fosse, se fosse appiattita all’identità fasulla che vorrebbero i leghisti-fascisti e il nostro Presidente del Consiglio, non sarebbe nulla, non avrebbe la storia che ha, non avrebbe conseguito i risultati che ha raggiunto, persino nel calcio!
Per questo mi unisco di nuovo alla voce di Mondi Ovadia e di tanti altri con lui: organizziamo e realizziamo uno SCIOPERO GENERALE di tutti quanti si sentano offesi da questa bestialità, di tutti gli “stranieri multietnici” d’Italia!
Facciamo vedere cosa sarebbe veramente l’Italia senza di NOI!!!
FACCIAMO CADERE QUESTO SCHIFO DI GOVERNO NAZIFASCISTA-LEGHISTA-OPPORTUNISTA!!!!
E FACCIAMOLO PRESTO, PRIMA CHE SIA TROPPO TARDI!!!!
Intendo replicarvi perché mi sento colpito personalmente, nella mia storia personale e nella mia formazione intellettuale e professionale.
Inizio col dire che la definizione di etnia nel dizionario della lingua italiana del De Mauro recita così: “raggruppamento umano basato su comuni caratteri fisici, storico–demografici, linguistici e culturali”.
Bene, io, sulla base di detta definizione, sono multietnico, in quanto mio padre era sardo di Santa Teresa di Gallura, chiamata dai locali Lungoni, e la sua lingua madre era il lungunesu, varietà di gallurese che a sua volta è una varietà di corso e in quanto tale si differenzia notevolmente dal sardo logudorese-campidanese che domina, in diverse varietà, dalla regione a sud di Sassari sino a Cagliari.
E come tutti i lungunesi, mio padre, da parte di madre, aveva appunto anche marcanti radici corse: il mio bisnonno era nativo di Sartene, lo stesso paesino di montagna del sudovest dell’isola dove Dumas padre ha ambientato il romanzo I fratelli corsi.
Da parte paterna, invece, mio padre discendeva da una specie di personaggio mitico, suo bisnonno, capostipite dei Marras della zona, ma originario di Santu Lussurgiu – nell’oristanese, area da tempo immemore sardo-punica –, descritto dalla leggenda come un omone alto due metri e completamente di pelo rosso, aspetto singolare per un sardo – per inciso, ancora oggi ho vari cugini di pelo rosso e altri alti intorno al metro e novanta che attestano con la loro semplice esistenza la verdicità di questa descrizione leggendaria.
Però mia madre è di Marina di Patti, in Sicilia, nella provincia di Messina, di fronte alle Eolie, non lontano dal promontorio di Milazzo.
Un’area per giunta particolare della Sicilia, dove la storia e la glottologia ci raccontano che vi dominano ancora gli idiomi cosiddetti gallo-siculi – anche se nel caso del paese di mia madre, marginalmente –, cioè le lingue delle genti “lombarde” (cioè di origine longobarda) del nord d’Italia che il re normanno Guglielmo I il Malo inurbò in zone ribelli della Sicilia orientale nel XII secolo. A palesare questa particolarità ci sarebbero in me i miei occhi azzurri, ereditati proprio dalla famiglia di mia madre.
Peraltro, mio padre e mia madre si sono conosciuti a Genova, dove entrambi erano migrati, come tanti altri Italiani del sud e delle isole, nel 1959. E io sono nato a Zena nel 1966.
Nel capoluogo ligure, quando ero ragazzo (ma ancora adesso!), ero chiamato “il sardo”, per via della marcata sardità del mio cognome (che invero ho scoperto in seguito a recente ricerca che è abbastanza diffuso anche in Grecia, in Spagna, in Francia e persino in Inghilterra), ed era troppo complicato e anche vano spiegare che le mie radici sono un po’ più complesse.
In Sardegna del resto ero chiamato “il genovese”, anche da chi conosceva bene la mia famiglia paterna.
A rimarcare il carattere della mia identità personale che definirla multietnica è un’ovvietà quasi banale.
Basterebbero queste poche righe che raccontano in estrema e significativa sintesi la mia storia familiare – ma secondo un amico che la conosce, la storia d’Italia, invero – per spiegare la ragione per cui mi sento offeso dall’idiozia pronunciata dal nostro Presidente del Consiglio, che si rivela per l’ennesima volta profondamente ignorante della storia del Paese che governa.
Senonché c’è anche una storia più specificamente personale e, come dicevo, la mia formazione intellettuale e professionale che mi collocano agli antipodi rispetto a una tale asserzione.
Chi mi conosce sa che ho vissuto un’abbastanza lunga e comunque intensa esperienza di vita e lavoro all’estero, in tre paesi africani, Tunisia, Eritrea e Nigeria, nonché in Brasile, dove ho vissuto il soggiorno più lungo e radicale, quattro anni e qualcosa.
In questi anni, oltre che sviluppare il mio multilinguismo pratico – in concomitanza a quello teorico dei miei studi – ho sofferto sulla mia pelle o ho visto soffrire più che mai i biechi stereotipi del razzismo, il disagio dei reietti, degli emarginati, della gente considerata inferiore dalla cultura dominante. E contemporaneamente ho assimilato profondamente la vitale importanza dei diritti umani, la consapevolezza dell’urgenza di valori comuni riconosciuti e applicati, la falsità e l’ingannevolezza delle presunte identità nazionali o quali che siano, laddove le differenze di costumi e di lingua devono essere valorizzate come patrimonio comune dell’umanità, non esaltate o disprezzate come dogmi da imporre violentemente prima che altrove sulla particolarità degli individui, quindi sul carattere delle cosiddette nazioni, necessariamente poste le une in conflitto con le altre dal nefasto sistema nazionalista.
Per questo sono anche offeso dalla tristemente stupida asserzione del nostro Presidente del Consiglio.
Ma non solo per questo. Per i miei studi appunto!
Prima ho accennato al fatto che un amico ha definito la mia storia familiare la storia d’Italia. Ebbene, il nostro Presidente del Consiglio, per essere degno di guidare questo Paese, dovrebbe appunto sapere che se c’è un carattere peculiare della nazione italiana è proprio la multietnicità, la multiculturalità, l’interculturalità, chiamatela come vi pare.
Più semplicemente si potrebbe chiamarla la relazione umana.
L’Italia è uno dei paesi dove meglio di altrove s’è realizzata l’arte dell’incontro che secondo il grande poeta e cantante brasiliano Vinicius de Moraes altro non è poi che la vita stessa.
E non da oggi.
Almeno dal neolitico in poi!!
Ogni insegnante di Storia dovrebbe sapere bene infatti come all’epoca della cosiddetta Unità d’Italia, proclamata il 17 marzo del 1861 – scommetto che non tutti gli “Italiani” ne conoscono precisamente il giorno e il mese, forse neanche l’anno –, dei circa 20/22 milioni di abitanti dell’allora territorio italiano, oltre l’80% era analfabeta e naturalmente non conosceva la lingua italiana, che era prerogativa – ma non è detto che la parlasse – solo dell’élite colta. Secondo una statistica che ho letto non ricordo dove, addirittura appena 600.000 neocittadini (o meglio neosudditi) italiani erano in grado di parlare l’italiano, circa il 2% o poco più della popolazione, praticamente solo i Toscani e pochi altri.
In tal senso va intesa la famosa frase programmatica del celebre politico piemontese Massimo D’Azeglio: “Abbiamo fatto l'Italia. Ora si tratta di fare gli Italiani” (alcuni non la attribuiscono a lui, ma è irrilevante).
Quindi, se ci rifacciamo alla precedentemente citata definizione del De Mauro, gli Italiani non erano certo un’etnia!!! Erano tante etnie, che parlavano diverse lingue, a volte molto diverse, perché, senza tirare in ballo gli “allofoni” presenti nel territorio italiano da secoli: gli Albanesi di Sicilia, di Calabria e di Puglia, gli Sloveni del Friuli, i Sud-Tirolesi dell’Alto Adige, gli Occitani del Cuneense e dintorni, i Franco-Provenzali della Val d’Aosta, i Croati di Abruzzo e Molise, i Grecanici di Calabria, i Rom e i Sinti sparsi qua e là, ecc., non mi direte che sono affini tra loro lingue come il napoletano o il friulano? Il sardo o il bergamasco?
E, ripeto, questa estrema multietnicità italiana è una peculiarità della nostra nazione almeno dal neolitico in poi.
Non voglio qui parlare del fatto che prima della romanizzazione e quindi della latinizzazione dell’Italia, vi esistevano vitali almeno 14/15 gruppi linguistici differenti (anzi, probabilmente erano di più, è la nostra nozione che è carente), la maggior parte non appartenenti alla cosiddetta famiglia indoeuropea (i più importanti dei non indoeuropei erano quello etrusco e quello semitico dei fenicio-punici, che parlavano una lingua strettamente imparentata all’ebraico), e a cui si ascrivevano tantissime etnie diverse e spesso in conflitto tra loro.
Né voglio ricordare, specie ai latinisti, come a Roma, nell’età classica, si parlasse più greco che latino: ce l’attestano Svetonio e Cassio Dione, allorché ci raccontano che le utime parole di Cesare furono “Καì σύ, τέκνον”, rivolte a Bruto – e non, come si riporta ancora in certi libri di Storia romana l’equivalente latino “Tu quoque, Brute, fili mi!” – ma ce l’attesta soprattutto Giovenale, allorché si lamenta del fatto che ai suoi tempi a Roma non si parlasse più la lingua degli avi perché “Ormai da tempo / l'Oronte di Siria sfocia nel Tevere / e con sé rovescia idiomi e costumi” [“iam pridem Syrus in Tiberim defluxit Orontes / et linguam et mores”, Saturae III].
L’Oronte di Siria, cioè l’odierno Asi che scorre tra Libano e Siria, è un riferimento alla notevole immigrazione nell’urbe, voluta dai Romani stessi, di Siro-greci di Antiochia e dintorni, deportativi come schiavi, ma presto liberti spesso potenti e ricchissimi, grazie alla loro cultura e competenze superiori, come fu infatti Pallante, “eminenza grigia” dell’imperatore Claudio, e come ci attesta anche, sia pure in negativo, Petronio nel suo Satyricon.
E questi Siro-greci sono sicuramente gli antenati anche della gente di Lunigiana: per il corso di Storia romana all’Università, ho studiato delle epigrafi latine che attestano come in epoca classica la colonia romana di Luna era stata popolata in massa da questa gente, esperti marmisti, perché lavorasse nelle cave del prezioso marmo delle vicine Alpi Apuane.
Voglio invece appunto ricordare come Roma, considerata fin dalla nascita del nostro Stato l’antenata celebre, il prototipo da recuperare, il simbolo nazionalista più possente, fosse un impero straordinariamente multietnico dove il civis, il cittadino romano, specie a partire dall’editto di Caracalla del 212 d.C., poteva anche parlare il latino, sì, ma non necessariamente, e comunque la sua lingua madre era sicuramente diversa: italica, ma anche gallica, berbera, iberica, greca, aramaica, egizia, libica, traco-illirica, germanica, ecc.
E non solo: come ha detto provocatoriamente Moni Ovadia tante volte – anche alla Festa dell’Europa del 9 maggio, organizzata a Villa Rosazza dal Centro in Europa –, il mitico progenitore di Roma era un “turco”, nel senso che proveniva dall’attuale Turchia, si chiamava Enea e su di lui Virgilio ha scritto il poema nazionale romano, l’Eneide, che ancora adesso si studia nelle nostre scuole!
E che dire del Cristianesimo, altro possente carattere nazionale italiano, dagli Italiani appunto ereditato da Roma (anche se, per quanto mi riguarda, devo confessarlo, con qualche eccezione avrei fatto volentieri a meno di questa eredità)?
Come ha sempre ricordato Moni Ovadia alla Festa dell’Europa del 9 maggio – davanti a quel grande uomo e grande prete (una delle eccezioni) che è Don Gallo –, Cristo stesso si presenta come uno straniero, chiede di amare lo straniero come sé stessi e ammonisce i seguaci dal non fargli del male, perché farebbero del male a lui!
Non a caso e doverosamente la CEI s’è sentita chiamata in causa in seguito alle dementi parole del nostro Presidente del Consiglio.
E a proposito di demenza, rilevo come Bossi e i leghisti in genere si siano arrogati il merito di aver ispirato questa linea del governo.
A parte il fatto che non se ne aveva dubbi, vorrei a tal punto e una volta per tutte sfatare il mito della Lega in quanto movimento politico federalista.
Se all’inizio della sua storia ha ingannato qualche sincero federalista – di quelli veri, come me, che derivano le loro idee da Carlo Cattaneo, Ernesto Rossi, Altiero Spinelli, il Movimento Federalista Europeo, ecc. – da quando ha cominciato a aizzare i sentimenti razzisti della gente del nord (e non solo) – prima contro noi “meridionali”, più recentemente contro gli “extracomunitari”! – solo per guadagnare voti e quindi potere politico, in realtà ha mostrato la sua vera natura: di nuovo mostro “nazifascista” che vuole portarci a una nuova rovina!
Anche il già citato Moni Ovadia già da tempo, ma non solo lui, ha fatto notare che la strategia leghista razzista e terrorista – finalizzata a stimolare e sfruttare nella popolazione la paura del diverso visto come un nemico – è la stessa che ha adottato dichiaratamente Hitler in Germania per conquistare il potere.
Gli “ebrei” di oggi sono i candestini extracomunitari, i “comunisti” quelli che li aiutano. “La sinistra che ha aperto le porte ai clandestini”, come ha detto il nostro Presidente del Consiglio.
Umberto Galimberti ha rilevato come la paura/odio del diverso, straniero, omosessuale, zingaro, “comunista”, ecc. è tipica di chi ha invero un’identità debole e cerca di distruggere il diverso che è in lui distruggendo l’altro, come per autoconvincersi della fermezza della propria identità elettiva, invero fatiscente.
È una chiave di lettura interessante, per quanto non l’unica, che spiega tante cose dei comportamenti assurdi dell’”uomo moderno”, compreso il leghismo, che infatti si basa su un fenomeno di costruzione di un’identità, quella padana, che non è mai esistita né esiste di fatto neppure oggi quando è tanto declamata.
Tant’è vero che ormai non c’è più tanta differenza nel presentarsi tra leghisti e fascisti, che in teoria dovrebbero essere in contrasto tra loro perché i primi sarebbero secessionisti, i secondi nazionalisti unionisti, ma in realtà s’incontrano bene nella xenofobia violenta e nella sete di potere.
Concludo questo mio oceanico contributo alla questione della multietnicità italiana sgradita al nostro Presidente del Consiglio, con un rimando anche all’ossessione (e all’affare economico) preferita dagli Italiani, cioè il calcio.
A parte il fatto che il Milan del nostro Presidente del Consiglio stesso è comunque una squadra multietnica, e dovrebbe stare attento a non offendere i suoi campioni stranieri, che magari, se fossero dignitosi, potrebbero decidere di cambiare aria, vorrei ricordare che tutte le nazionali italiane che hanno vinto la coppa del mondo sono state multietniche.
Quelle del 1930 e del 1934, a parte la varietà regionale di tutte che tralasciamo pure, erano infatti imbottite di “oriundi”, argentinos e uruguayos in particolare (Luis Felipe Monti che aveva già vinto la coppa del 1930 con la maglia dell'Uruguay, Enrique Lucas Gonzales Guaita, il gran ballerino di tango Raimundo Bibian Orsi e Miguel Andreolo, tanto per ricordare i più famosi), quella del 1982 vantava tra le sue fila l’irriducibile italo-libico Claudio Gentile, che ha annullato avversari del calbro di Maradona, tanto per fare un nome non qualsiasi, mentre l’ultima del 2006, a parte l’oriundo argentino Mauro Germán Camoranesi, con la sua faccia da indio, aveva e ha come perno del centrocampo quell’Andrea Pirlo che non ama parlare molto delle sue radici rom.
Insomma, non solo l’Italia è da sempre multietnica, quindi rinnegare questo suo carattere significa rinnegarla tout court, ma se non lo fosse, se fosse appiattita all’identità fasulla che vorrebbero i leghisti-fascisti e il nostro Presidente del Consiglio, non sarebbe nulla, non avrebbe la storia che ha, non avrebbe conseguito i risultati che ha raggiunto, persino nel calcio!
Per questo mi unisco di nuovo alla voce di Mondi Ovadia e di tanti altri con lui: organizziamo e realizziamo uno SCIOPERO GENERALE di tutti quanti si sentano offesi da questa bestialità, di tutti gli “stranieri multietnici” d’Italia!
Facciamo vedere cosa sarebbe veramente l’Italia senza di NOI!!!
FACCIAMO CADERE QUESTO SCHIFO DI GOVERNO NAZIFASCISTA-LEGHISTA-OPPORTUNISTA!!!!
E FACCIAMOLO PRESTO, PRIMA CHE SIA TROPPO TARDI!!!!
ROBERTO MARRAS
4 commenti:
Anche un berlusconiano dissente dal suo leader: Beppe Pisanu, già ministro degli Interni nel precedente governo di Berlusconi.
Evidentemente si è ricordato la sua matrice liberale e lo spaventa questa deriva razzista-nazifascista della sua parte.
***
http://www.wallstreetitalia.com/articolo.asp?art_id=727449
"Immigrati/ Pisanu: Lega pericolosa, così si rischiano violenze
di Apcom
"Irragionevole il ddl sicurezza, meglio rivedere Bossi-Fini"
Roma, 12 mag. (Apcom) - Anche se Bossi "appare più misurato, molte delle cose che la Lega dice e fa sull'immigrazione sono sbagliate e pericolose". Beppe Pisanu, presidente della commissione Antimafia ed ex ministro degli Interni, critica la politica del Carroccio verso gli immigrati e intervistato dal 'Sole 24 ore' avverte: "C'è il rischio di dare consistenza crescente a sentimenti di razzismo e xenofobia. E anche di eccitare la violenza fisica contro gli immigrati. E' un pericolo enorme. Nel mezzo della recessione, e in una fase di tensioni sociali crescenti, il rancore verso gli immigrati può scatenare conflitti devastanti", anche perchè "c'è chi sfrutta politicamente e senza scrupoli la paura degli immigrati". Pisanu boccia le norme contenute nel ddl sicurezza: "Non riesco a capire a cosa serva trattenere un irregolare fino a sei mesi", mentre meglio sarebbe "stringere accordi con i Paesi di provenineza". Il reato di clandestinità, poi, "nell'era della mobilità globale non ha ragionevole senso pratico. A parte gli aspetti giuridici e i diritti fondamentali dell'uomo". Piuttosto, aggiunge Pisanu, sarebbe meglio "una profonda revisione" della legge Bossi-Fini, in particolare sui "vincoli all'ingresso" in Italia. Ma Berlusconi, con il suo no a un'Italia multietnica, non avalla la politica del Carroccio? "Berlusconi - dice Pisanu - alludeva all'esigenza giusta di tutelare l'identità nazionale italiana, cosa che non mi sembra essere cara alla Lega"."
Guarda un po' che cosa combina il Giornale a proposito di societa' multietnica...
Riporto un'email che ho ricevuto, in risposta al mio testo, dalla Sig.ra Irma Mattei. Di seguito la mia replica.
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Egregio sig. Marras,
ho letto con molta pazienza la sua lunghissima email,che corrisponde quasi a un comizio. Le premetto che io non sono berlusconiana, sono classe 1927, quindi capirà
che la mia storia è più lunga della sua e purtroppo più drammatica. Io sono una profuga giuliana, precisamente di Pola. Allora, io le chiedo: come mai lei insorge contro Berlusconi e non è insorto alla vergogna dei governi precedenti che hanno nascoscto agli Italiani il massacro delle Foibe? Si parla sempre dell'olocausto degli ebrei, ma degli innocenti, bambini, donne vecchi, giovani buttati vivi e morti con enormi sofferenze nei crepacci solo perché Italiani?
Non mi dilungo perché questi ricordi sono più atroci delle torture naziste. Le faccio solo un invito. Legga cosa hanno fatto contro i clandestini Zapatero e Sarkozy. E ancora: Non nomini la Chiesa, di cui io faccio parte, che dovrebbe solo pensare a tutti i pedofili che purtoppo la infestano.
Mi dimenticavo: dica alla Chiesa di ospitare i clandestini nei conventi, nelle dimore che i preti hanno sparsi. Sarà un segno di grande cristianità e amore verso i diseredati di cui lei si fa promotore.
Cordialmente
Irma Mattei
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Cara Sig.ra Irma,
La ringrazio per la risposta e per le suggestioni che mi offre.
Lei è nata nello stesso anno di mio padre, il che me La fa sentire vicina.
A rispondere alla Sua domanda, Le dico intanto che sono ancora abbastanza giovane per non essere coinvolto con l'oblio voluto dalla politica italiana dei 60 anni posteriori alla guerra nei confronti delle vittime delle foibe.
Di cui io avevo sentito però parlare da mio padre - e non dai miei insegnanti -, il quale negli anni tra la fine del 1945 e il 1958 ha prestato servizio nella Guardia di Finanza, in particolare, negli anni subito successivi alla guerra, a Trieste e Venezia, dove ha visto con i propri occhi i profughi giuliani, istriani e dalmatici, nonché i soldati jugoslavi, ostili.
E mio padre mi raccontava queste cose, dopo tanti anni, con sdegno per l'orrenda sorte sofferta dai compatrioti della Sua terra d'origine e partecipazione commossa nei loro confronti.
Mi permetta però di riferirLe anche un altro aneddoto che mi ha raccontato mio padre.
Come detto nel mio testo, mio padre era di Lungoni, meglio nota con il suo nome ufficiale di Santa Teresa di Gallura, dove durante la guerra, presso la zona vicina al porto che i locali chiamano Tanchitta - che oggi è quasi completamente cementificata dalla speculazione edilizia turistica - c'era una guarnigione militare italiana, ovviamente, composta però quasi esclusivamente da ragazzi di origine istriana, carnica, dalmatica, di "etnia" slovena e croata.
Ebbene, questi ragazzi, isolati in una guarnigione lontano dal fronte e dalle loro case e famiglie d'origine, erano trattati malissimo dai superiori, come se fossero infidi, potenziali nemici, senza armi, ma anche con scarso cibo - che spesso elemosinavano presso la gente del posto -, nonché in precario stato igienico, al punto che a mio padre, che allora era un adolescente - come Lei - era rimasta impressa la scena di questi ragazzi che tentavano di uccidere i pidocchi delle loro uniformi con i sassi sugli scogli di granito della sopra citata Tanchitta. Molti morivano di ftiriasi e altre malattie provocate da questa situazione in cui erano abbandonati volutamente.
Questo aneddoto l'ho raccontato per lettera quattro anni fa anche al famoso scrittore e docente universitario triestino Claudio Magris, il quale, in epoca di istituzione, giustamente ma tardivamente, della Giornata della Memoria delle vittime delle foibe, il 10 febbraio di ogni anno, aveva partecipato alla trasmissione Otto e mezzo su LA7, a cui avevo assistito, sostenendovi che nel momento in cui commemoriamo finalmente le vittime delle foibe e chiediamo giustizia, non possiamo però dimenticare anche le "nostre responsabilità" nei confronti degli Slavi, altrimenti rischamo di aizzare un bieco revanscismo nazionalista reciproco - dal momento che anche Sloveni e Croati in tal senso non sono da meno - o comunque di degenerare in una strumentalizzazione politica delle vittime e dei profughi, come Lei.
Magris mi ha risposto ringraziandomi per la storia che gli avevo raccontato e che confermava la sua posizione appena descritta.
Le faccio notare, in conclusione, che ho messo "nostre responsabilità" tra virgolette, in quanto in realtà ritengo che le principali responsabilità fossero di Mussolini e dei fascisti, così come oggi, le responsabilità delle gravi violazioni dei diritti umani perpetrate nei confronti dei cosiddetti "clandestini" e degli altri "stranieri" siano da attribuire a Berlusconi e alla sua coalizione di governo. Il resto della popolazione che approva o rimane indifferente, lo si può accusare semmai di complicità, e per questo non va comunque assolto.
Ma Lei sa bene, per esperienza, cara Signora Irma, che certi crimini prima o poi si pagano.
E a soffrirne di più, la storia insegna, sono sempre i più innocenti.
Roberto Marras
P.S.: quanto al ruolo della Chiesa, si rivolga Lei alla gerarchia ecclesiastica, visto che dice di farne parte. Io so solo che molti preti, spesso isolati, come Don Gallo, già fanno tanto. E per quanto riguarda il resto dell'UE, ha ragione Lei a dire che non sono certo dei santi. Infatti sono tra gli europeisti attivisti e convinti che non sono tanto contenti della linea dell'UE per quanto concerne l'immigrazione. Però almeno l'UE ha una normativa chiara e perentoria riguardo ai diritti umani, si tratta di pretendere tutti quanti che i nostri politici, d'Italia e di Europa, la applichino.
Riporto un ulteriore contributo, inviatomi da parte di un'amica lituana, seguito dalla mia replica.
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Caro Roberto,
ho appena letto la tua relazione, e sono pienamene d'accordo con te.
Le parole di Berlusconi sulla non-multietnicità d'Italia non solo sono profondamente offensive, ma purtroppo ri-confermano per l'ennesima volta la meschinità del leader di questo paese.
Ma cosa si può aspettare da una persona che fa amicizia con Putin e Gheddafi?
Il problema è che lui è stato eletto (legittimamente) dal popolo italiano, è questo che sinceramente mi preoccupa molto di più!!!
Non accenno neanche al problema dell'immigrazione perché mi fa stare troppo male e vergognare di questo paese in cui attualmente mi trovo...
Ritengo che la tua iniziativa sia molto importante, dato che c'è una vera mancanza di opposizione costruttiva.
Grazie per avermi spedito la relazione!
Toma
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Ciao Toma!
Grazie per l'appoggio al mio testo. Il tuo commento lo arricchisce ulteriormente, in particolare il riferimento alle amicizie con Putin e Gheddafi: è incredibile come non ci si preoccupi più di tanto in Italia del fatto che Berlusconi più di una volta abbia fatto capire o abbia detto anche esplicitamente che Putin è il suo modello preferito (specie ora che non c'è più Bush)!!!
D'altra parte, come giustamente fai notare tu, la maggior parte degi Italiani lo ha votato, ma, attenzione: questo dato è falsato dalla legge elettorale che Berlusconi stesso ha fatto approvare prima che cadesse il suo precedente governo e che il governo Prodi non ha colpevolmente cambiato!
In realtà, dati alla mano, penso che non più di un 30 % della popolazione italiana si riconosca nel cd. centro-destra, sempre più destra per giunta estrema e sempre meno centro, il resto è diviso - divide et impera - nella disgregazione della sinistra, il cui principale responsabile è Veltroni - che oggi giustamente è sparito, annegato presumibilmente nelle lacrime generate dai suoi mea culpa -, nella rassegnazione e disillusione, che si traduce nel rifiuto di votare, nelle paure irrazionali artatamente alimentate dalla propaganda mediatica, in particolare quella nei confronti del "diverso".
Per questo credo che noi "intellettuali" - e sono contento che tu sia d'accordo - dobbiamo esporci in prima persona e cercare di offrire il nostro contributo per sensibilizzare la gente comune.
Il rischio di un nuovo fascismo non solo non è remoto, ma è molto attuale. I fatti di Torino di ieri e oggi lo confermano ancora.
E il vecchio fascismo, in confronto a questo "nuovo", era roba da dilettanti!
Sei invitata, a proposito di immigrazione, a partecipare alla proiezione del film Come un uomo sulla terra, nella Sala Lignea della Biblioteca Berio sabato prossimo 23 maggio alle 16.30.
Questo film denuncia i crimini commessi in Libia nei confronti dei cd. clandestini, di cui l'Italia si rende complice.
A presto!
Roberto
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