Ceviche a colazione... il mio primo libro!

29 luglio 2009

Dibattito meritocrazia

Pubblico il botta e risposta avviato dall'assessore Antonio Ranieri sulla questione della "meritocrazia" a Scuola e già pubblicato da Paolo Fasce sul blog del Comitato Precari Liguri della Scuola (http://precariliguria.blog.kataweb.it/).
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Personalmente sono molto felice che si sia acceso questo dibattito avviato dall’assessore Ranieri, in quanto io, dal mio modesto blog, nel forum del Comitato Precari e in altri forum a cui contribuisco, avevo già tentato, nel maggio scorso, di incitare un dibattito analogo sui Lavoratori della conoscenza (http://romras.blogspot.com/2009/05/lavoratori-della-conoscenza.html), il cui scopo era proprio quello di invitare a parlare di riforma della Scuola e della figura del docente, da rivalorizzare sia a livello di formazione, ma anche a livello socio-economico, quanti però – e qui mi associo all’amico e collega Paolo Fasce – ne abbiano le competenze e possibilmente anche l’onestà intellettuale, che permetta loro di esulare dalle proprie appartenenze politiche.
In tal senso, comincio con il confermare la correzione di Paolo nei confronti del Prof. Bertone: ad abolire gli esami di riparazione fu il ministro D’Onofrio del primo governo Berlusconi, con l’unico bieco scopo di tagliare fondi alla Scuola, mentre imperversava la fregola dei finanziamenti alla Scuola privata cattolica, per giunta.
Tale misura ha prodotto danni gravissimi: posso testimoniare personalmente come abbiamo dovuto diplomare, per esempio, dei ragionieri e periti commerciali che non sapevano il classico fico secco né di Economia Aziendale né di Informatica, materie di cui si sono portati dal primo al quinto anno impunemente e sfacciatamente il debito incolmato grazie appunto a D’Onofrio e Berlusconi!!
Il provvedimento di Fioroni, l’unica cosa buona che forse ha fatto, di ripristinare gli esami di riparazione o chiamateli come vi pare, ha in parte rimediato a questa penosa situazione.
Detto questo, mi pare persino canzonatorio (per usare un eufemismo) che ora si voglia, da parte dell’amico Musso e da altri della sua parte, attribuire il merito del giro di vite “meritocratico” alla Destra, la stessa che sta sfasciando invece sempre più la Scuola Pubblica, come già ha appunto tentato in passato, con lo scopo “dichiarato” di imporre un sistema diciamo all’americana, per il quale le scuole di “migliore qualità” siano tutte private e esclusivo appannaggio dei ricchi. “Dichiarato” l’ho messo tra virgolette perché, se ormai conosciamo i nostri governanti, in realtà è più probabile che in Italia la Scuola evolva sempre più verso gli evocati diplomifici, quelli che in Brasile sono soprannominati “pagou, passou”, dove chiunque si può comprare un diploma, per la gioia degli “affaristi” senza scrupoli che abbiamo come classe dirigente, che non esitano a guadagnarci dalle discariche di rifiuti tossici, figuriamoci dalla Scuola!
Ho messo tra virgolette anche “migliore qualità” perché poi è davvero opinabile che il privato sia per la qualità: francamente io mi fido molto di più di un solido sistema pubblico che di un sistema privato, i cui scopi quasi mai coincidono con quelli della comunità.
Non a caso, in Brasile, che conosco bene per averci vissuto e lavorato, l’Università pubblica è di gran lunga migliore e più ambita (e più referenziata) di qualsiasi università privata, che molto spesso, come detto, altro non si risolve che in spudorati diplomifici per i viziati e fancazzisti rampolli della classe dominante. Come si vuole imporre da noi da parte di questa Destra, che, secondo me, Musso – e glielo dico, anzi ripeto, da amico –, pur appartenendovi, non ha ancora ben capito di che si tratta!
Laddove concordo con lui sul fatto che gli “altri” non è che siano tanto meglio.
In verità, e concludo questo mio conciso e salace commento, ribadisco il mio accordo pieno con Paolo Fasce: della Scuola dovrebbero occuparsene solo chi ne ha le competenze e l’esperienza, non una gelmini qualunque (lo scrivo di proposito minusculo!).
Per questo rilancio con veemenza l’idea di svolgere un Convegno sulla Scuola a settembre prossimo, prima dell’inizio delle lezioni, dove vogliano venire a parlare (e poi a fare) solo quanti intendano far bene alla Scuola Pubblica, salvaguardando in primo luogo le professionalità!
Roberto Marras
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mercoledì, 22 luglio 2009
Ranieri, Musso, Bertone su Il Secolo XIX
Parliamo di scuola: chi sono gli esperti?
di Paolo Fasce
giornalista, ingegnere elettronico, informatico… e insegnante,
portavoce del Comitato Precari Liguri della Scuola

Si susseguono sulle pagine de Il Secolo XIX di queste ultime settimane le autorevoli opinioni di firme prestigiose che discettano sul mondo della scuola. Hanno espresso le proprie opinioni l’Assessore alla Cultura del Comune di Genova, Andrea Ranieri (“Fortunati quei Paesi dove non si boccia nessuno”, 16/7/2009), che veste i panni del progressista e mette in contrapposizione la scuola della meritocrazia a quella della democrazia. Poi è venuto il turno di Enrico Musso (“Chi ha paura della scuola fondata sul merito”, 18/7/2009), Senatore del PdL, ma anche docente universitario, che in estrema sintesi si compiace del “giro di vite” emerso dall’aumento del numero delle bocciature agli Esami di Stato di quest’anno. Infine Giorgio Bertone (“Meritocrazia a scuola, un’operazione di facciata”, 21/7/2009), ordinario di Letteratura italiana all’Università di Genova, che accredita alla sinistra l’abolizione degli esami di riparazione e una certa schizofrenia, avendoli il Ministro Fioroni reintrodotti e denuncia una contraddizione non riuscendo ad individuare un criterio meritocratico in base al quale l’Avvocato Mariastella Gelmini abbia potuto assumere il ruolo di Ministro. Non affonda in pieno la sua lama retorica, avendo dimenticato di citare il fatto che il titolo professionale dell’attuale Ministro dell’Istruzione è stato conseguito in un concorso svolto a Reggio Calabria, sede preferita a quella più selettiva di casa propria). Per amor di verità, gli esami di riparazione furono cancellati dal Ministro D’Onofrio negli anni novanta, se non erro nel primo governo Berlusconi.
Curiosamente, nel caso in cui il tema della discussione sia l’astrofisica, si convocano prestigiosi astrofisici, quando si parla di microelettronica, si convocano i microelettronici, quando si parla di malattie cardiovascolari, si convocano cardiologi. Giacché tutti possiamo osservare le stelle, tutti abbiamo un telefonino e beninteso tutti abbiamo un cuore, pare curioso che, solo per il fatto che tutti siamo stati a scuola, ciascuno possa definirsi esperto di questo tema. In breve, una parola che provenga dal mondo della scuola, ancora, non si è sentita.
Sul tema del merito, mi permetto una digressione matematica. Il concetto di “Merito” presuppone di pensare ad una possibile misurazione che traduca le molte variabili in gioco, in un unica scala che le condensi tutte e ci consenta di stabilire chi è “più elevato in grado”. Questo modo di procedere è dettato dal buon senso, ma un qualsiasi matematico sa che determinare una relazione d’ordine quando le variabili diventano appena due è impossibile. Ne consegue che tutti possiamo utilizzare la parola “merito”, ma nessuno sarà mai in grado di misurarlo. Il concetto, tuttavia, non è ignoto alle masse, quando si tratti di valutare il merito di un calciatore (meglio Maradona o Pelé), di un comico (meglio Totò o Govi?) o di un attore (meglio Gassman o Mastroianni?).
E tuttavia è legittimo aspettarsi dei diplomati che abbiano requisiti minimi in ciascuna disciplina e capacità conseguenti. Le indagini internazionali danno di certo un quadro, che non tutti conoscono e che spesso distorcono ai propri fini.
Mi si consenta di evocare (lo spazio non consente altro) argomenti che dovrebbero, ciascuno, fornire spunti per doverosi approfondimenti.
· Quali modelli offre la società nella quale ci muoviamo? Ha senso pensare che i giovani d’oggi abbiano altri punti di riferimento (a torto o a ragione)?
· La scuola di oggi si è trasformata davvero in senso organizzativo e didattico, oppure ripete passivamente meccanismi obsoleti, incapaci di affrontare la realtà odierna?
· Quale spazio è dato all’uso consapevole delle tecnologie nella didattica (non parlo di qualche presentazione in Power Point, ovviamente).
· Quale valore è percepito dagli studenti che lavorano e studiano in ambienti fatiscenti?
· Quale influenza ha sulla motivazione la continua svalorizzazione che emerge dai media e nei conflitti coi genitori del corpo docente?
· C’è modo di semplificare il lavoro dei consigli di classe e delle commissioni degli esami di stato che passano una significativa parte del proprio tempo a curare la forma, onde evitare che un ricorso vanifichi il loro lavoro nella sostanza?
· Che valore viene dato alla continuità dell’insegnamento dove quasi un insegnante su cinque è precario e anche gli insegnanti “di ruolo” cambiano spesso sede per avvicinarsi a casa (“assegnazioni provvisorie”) o, vincolati alle 18 ore, insegnano geografia e italiano in prima, storia e latino in seconda, italiano in terza, latino in quarta…
· Quale ruolo giocano i dirigenti, selezionati rigorosamente nei concorsi regionali del nord e dichiarati idonei a centinaia in quelli del centro sud, poi gestiti in ambito nazionale e non regionale? Stessa cosa, spesso, anche per gli insegnanti.
Tutti noi siamo passati dall’esperienza scolastica, lo faranno anche i nostri figli e i nostri nipoti. Affrontare questi nodi coscienziosamente e in maniera rispettosa della verità, senza dogmi preconcetti, pare doveroso da parte di tutti.
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Il Secolo XIX 22 luglio 2009
A scuola premiare chi merita, ma con giudizio
Davanti al dibattito su merito e bocciature scolastiche, avviato in questa pagina dagli interventi di Andrea Ranieri e Enrico Musso, viene subito da chiedersi: ma di cosa si sta parlando? Perché non siamo a discutere di un nuovo modello di istruzione e del suo impatto; semmai del vecchio, sempre uguale, che adeguatosi con prontezza al vento che soffia sullo spirito del tempo ora sostituisce la faccia accomodante di ieri con quella minacciosa odierna. In altre parole, qualche “sospensione di giudizio” (sei rimandato) o “non ammissione” (devi ripetere l’anno) in più non significano di certo l’entrata nel nuovo modo di fare istruzione. Pure teatralizzazioni. Indirettamente accreditate da dibattiti su meritocrazia e dintorni puramente teorici. D’altro canto, non è l’Italia il Paese dei retori controriformisti?
Giustamente Musso osserva che gli ultimi quarant’anni «hanno prodotto generazioni di somari». Dato che tale condizione generazionale oltre che Musso riguarda anche Ranieri e il sottoscritto, provo a mantenermi sul tema della discussione: la priorità o meno del valore “merito” nella determinazione delle politiche della scuola.
La prima cosa da dire è che in materia di valori non bisognerebbe usare il coltellaccio da macellaio. Visto che siamo tutti “liberali”, occorrerebbe distinguere. In primo luogo ficcandosi in testa che ci sono valori intangibili e valori relativi. I primi non sono “limitabili”, i secondi sì; devono accettare il contenimento da parte di princìpi che hanno la precedenza.
Ad esempio, ogni liberale è propugnatore della libertà di espressione. Ma non al punto di giustificare la derisione o l’oltraggio. Posso pensare e dire che le società dell’Est presentano gravi tratti di arretratezza, auspicare la promozione di politiche attive per l’accoglienza/inserimento degli immigrati. Non è tollerabile l’affermazione che tutti gli albanesi o i romeni sono congenitamente ladri e stupratori. Perché il valore del rispetto della persona è prioritario.
Allo stesso modo, la tanto lodata meritocrazia deve tenere conto di altri fattori, prevalenti. In primo luogo, che quanto noi chiamiamo merito, nella sua fase di partenza, è l’effetto diretto di un patrimonio iniziale dei singoli; derivante da condizioni di cui appunto non hanno “merito”. Si chiama “capitale culturale/sociale originario”, determinato dalla casualità del luogo (leggi famiglia) in cui si ha avuto l’avventura di nascere; che trasmette o meno, sin dagli anni della primissima infanzia, le tecniche e le conoscenze (in primo luogo, la padronanza del linguaggio) che consentiranno o meno di primeggiare. Qui non serve pontificare di “eguaglianza nelle posizioni di partenza”, venerabile tesi einaudiana che porta tutti i segni del tempo incui è stata formulata. Che non poteva tenere conto delle acquisizioni sul peso delle reti relazionali da parte dellamoderna ricerca sociologica. Ignorava le statistiche del National Child Development 2007 che spazzano via le fanfaluche da New Labour circa meritocrazie basate sull’istruzione: i figli delle classi superiori vanno mediamente meglio a scuola degli altri.
Ma il merito senza la giustizia è una caricatura della democrazia e prima ancora del buon senso. Perché la sua applicazione burocratica riduce il bacino di selezione al ristretto ambito del privilegio (e vanifica potenzialità che avrebbero potuto essere attivate, arricchendo la società). Per questo, somarello in buona compagnia, mi riconosco nell’idea, cara a John Dewey, di “scuola come scuola di cittadinanza”.
Sicché il problema non è quello di punire l’allievo, per ciò che abbiamo lasciato fosse o (non) diventasse. Semmai bisogna iniziare a riflettere sul come coniugare il merito con il principio di cittadinanza. Partendo dalla domanda sul quanto (diciamolo, per nulla) la scuola sia messa in condizione di farlo. In quanto sistema, non come ammirevole abnegazione al ruolo di qualche singolo/a insegnante.
PIERFRANCO PELLIZZETTI (pellizzetti@fastwebnet.it) è opinionista di Micromega
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Il Secolo XIX 21 luglio 2009
Meritocrazia a scuola, un'operazione di facciata
Su queste colonne Enrico Musso sostiene di “non aver paura della meritocrazia” a scuola Anzi, la difende con un linguaggio da free lance, tagliente, insolito per il pacato, ragionevole senatore ligure del Pdl. Musso non ha ragione. Ha straragione. Con una riserva a latere, che dirò in ultimo. La sua ragione piena non discende tanto dall'interpretazione di qualche migliaio di bocciature in più (su 500.000 maturati) come una svolta epocale, una “vistosa soluzione di continuità con il passato”.
Discende invece da un fatto ben più portante: la reazione di molti "progressisti" al (parziale) giro di vite. I sottili “distinguo dei maîtres a penser, pronti ad accorrere in soccorso delle presunte vittime di una crudele meritocrazia”, come scrive con acuminato e sarcastico pennino il senatore e docente universitario. Aggiungo e rincaro. Molti di questi maîtres sono giunti a deprecare che queste bocciature siano arrivate proprio nell'ultima fase di un percorso, all'esame di Stato. Come dire: suvvia, di colpo, senza neppure un preavviso. Naturalmente se si fosse iniziato in prima liceo avrebbero teorizzato che non si selezionano studenti così giovani. E così via di indignazione in indignazione secondo lo sport più diffuso dell'eterno sociologismo pseudosolidale della sinistra. E forse avrebbe caricato ancor di più l'inaspettato fucile di Musso ricordare che la sinistra in passato e nel presente ha persino teorizzato il "diritto al successo formativo". Che in parole pauperrime significa "promozione garantita", ma che, formulato così, diventa una ideologizzazione antimeritocratica con cui la sinistra non ha mai fatto davvero i conti. Come non ha mai fatto i conti con i ministri suoi che hanno abolito o confermato l'abolizione degli esami di riparazione, costringendo il timido ma tenace Giuseppe Fioroni a inventarsi Ie "sospensioni dei giudizi". Né mai li ha fatti con la più disastrosa delle riforme universitarie, il 3+2, di cui subiamo tutti Ie conseguenze, gli studenti in primis; e il cui responsabile, anzi, è stato ora premiato con un seggio nel parlamento europeo.
Proseguendo su questa via, si potrebbe dire a Musso, paradossalmente, che il suo torto è di non aver spinto fino in fonda Ie sue ragioni. Ma a questa punto c’è una riserva generale non da poco. È davvero convinto, l'unico uomo del Pdl che puo vantare una stima assai vasta anche tra gli avversari, se non altro per la sua schiettezza e civiltà culturale, che il ministro Mariastella Gelmini e questa govemo siano intenzionati a ripristinare un'equilibrata, efficace meritocrazia? Davvero Gelmini, di cui Musso confessa la totale dipendenza dalle direttive finanziarie, contabili di Giulio Tremonti, vuole e sa come riformare la scuola? Ai suoi tempi il ministro dell'Istruzione Letizia Moratti fu presentata come un ministro "tecnico". Di Quale tecnica docimologica, pedagogica, di quale esperienza scolastica era provvista Moratti, di professione broker? E con quali competenze e quali titoli meritocratici e giunta al dicastero Gelmini?
La prima e soprattutto la seconda hanno favorito dei tagli drastici, specialmente nella scuola elementare e media inferiore, là dove servono meno Ie bocciature e molto di più una laboriosa opera di istruzione di base e di formazione culturale del cittadino, inclusi gli ormai numerosissimi figli di immigrati, che stentano assai a imparare ciò che costituisce il fondamento della vita comunitaria statale, ossia la lingua italiana. E Ie bocciature qui sono arrivate al 50%. In quest'ultima maturità, dove tra tira e molla, ordini e contrordini (sufficienza nella singola materia? o media dei voti?) Gelmini ha confermato il criterio di ammissione, in quale forma sono stati "ammessi" i privatisti? Forse si e "dimenticata" di loro?
Musso denuncia “lo sfascio della scuola e dell'Università, che regalano titoli senza insegnare niente”. A fronte di tanto catastrofismo, che dimentica Ie tante sacche di persone e di gruppi che fanno egregiamente il loro lavoro, non proferisce una parola su scuole e Università private, i famigerati diplomifici Ie Università-fantasma che regalano decine di crediti ha chi ha un impiego, in forza di quel solo impiego. Non un verbo sulle Università decentrate, abolire Ie quali farebbe tra l'altro godere subito l'ilaro-annaspante Tremonti.
Nel quadro generale: di fronte a una serie impressionante di atti contraddittori o mancati – un pacchetto sicurezza di cui le ronde sono il fiocco folcloristico e penoso, un condono edilizio preventivo che costringe le Regioni a suicidarsi paesaggisticamente e turisticamente, un condono fiscale camuffato con sotteso uno strisciante condono del falso in bilancio, il Lodo Alfano, la paralisi della magistratura anche attra verso lo stop alle intercettazioni, l'uso smodato dell'Abruzzo come palcoscenico del One-man-show, la crisi economica e produttiva, per non dire delIa crisi di moralità e presentabilità internazionale – di fronte a tutto questo la rigidità autoimposta dei muscoli facciali della Gelmini in tailleur meritofilo, appare come la forzata interpretazione di quella maschera seria e competente che il governo affannosamente ricerca.
E il senatore Musso? Ricopre con altri mezzi il medesimo ruolo di salvatore in corner dell'immagine della classe dirigente, che è chiamata a svolgere il ministro? E, come Gelmini, inneggia alia meritocrazia scolastica per sorvolare sui meriti di tanti ministri o parlamentari europei e di tutto il resto delle scelte politiche? Ed è proprio sicuro che i criteri meritocratici dentro il suo partito verranno utilizzati anche nei suoi stessi confronti, riconoscendolo come il professore, professionista e politico serio, intelligente e competente che in effetti è?
GIORGIO BERTONE è ordinario di Letteratura italiana all'Università di Genova
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Il Secolo XIX 18 luglio 2009
Chi ha paura della scuola fondata sul merito
Stagione di esami. Le cronache riferiscono di voti bassi e di un netto aumento delle bocciature.
I commentatori lo collegano alla riforma in corso della scuola. Non perché le misure fin qui introdotte possano tecnicamente giustificare il risultato; ma perché, par di capire, la selezione, il rigore degli studi, le commissioni di esame si sarebbero in qualche modo “sintonizzate” con l’aria che tira, ossia con una riforma che punta sul merito.
Il fondamento logico del ragionamento è discutibile.
Ma il punto è un altro. Non vi è dubbio che il nuovo corso segni una vistosa soluzione di continuità col passato. Si riconosce e valorizza il merito come criterio di selezione e di ascesa: nella scuola, nell’università, e in prospettiva nella società. Era parso, nel dibattito parlamentare, che il principio fosse largamente condiviso, anche da chi negli anni passati aveva puntato sulla scuola di massa, inclusiva, che non negava il titolo praticamente a nessuno.
Le critiche al ministro Mariastella Gelmini si erano concentrate sulla riduzione delle risorse (ovviamente non voluta da lei, ma da Giulio Tremonti, che ha il compito di risollevare il debito pubblico italiano dalla terzultima posizione mondiale).
Invece, con le prime lacrime davanti ai “quadri” della maturità arrivano anche i distinguo dei maîtres à penser, pronti ad accorrere in soccorso di (presunte) vittime di una crudele meritocrazia. La scuola selettiva – è la tesi – ha il difetto, appunto, di selezionare, e quindi di lasciare indietro chi non si adegua agli standard. Ciò è iniquo perché contrasta con una società di eguali. Ma quella che bisognerebbe traguardare è l’uguaglianza dei punti di partenza, non la filosofia del todos caballeros. Quarant’anni di sbronza egualitarista hanno prodotto generazioni di somari. Alcuni dei quali sono a loro volta saliti in cattedra, con i risultati che vediamo.
Gli altri si sono riprodotti, e oggi danno battaglia – dal ricorso al Tar fino, all’occorrenza, al menar le mani – se i profitti scolastici dei loro virgulti vengono messi in dubbio dalle commissioni di esame.
La scuola e l’università hanno tradito la loro missione: assicurare a ciascuno – indipendentemente dalle condizioni di nascita e di censo – un’istruzione elevata, che sviluppi le capacità intellettuali e professionali, aumentando le opportunità di lavoro e di vita, e rendendole il più possibile uguali a quelle di tutti gli altri giovani. L’einaudiana uguaglianza delle opportunità è un obiettivo liberale, ma dovrebbe essere anche, e forse soprattutto, un obiettivo irrinunciabile di una sinistra moderna.
Negli anni, invece, una scuola e un’università che regalano titoli senza insegnare niente hanno creato “dottori” che non sanno neppure scrivere in italiano (e l’italiano, diceva Leonardo Sciascia, non è “l’italiano”, l’italiano è il ragionamento). E fra questi “dottori per caso”, ad affermarsi saranno quasi sempre e solo i figli dei ricchi e dei potenti, che avranno potuto frequentare, magari all’estero, scuole e università più serie. O che potranno riprendere le attività avviate dai padri, o farsi aiutare dai potenti amici dei genitori.
La scuola facile, “inclusiva”, che fa sentire tutti dei piccoli Nobel ha creato dei disadattati, che dopo vent’anni fra i banchi, e dopo aver superato blande verifiche, credono sia loro dovuta una professione intellettuale corrispondente ai titoli conseguiti, e considerano riduttivo qualunque altro mestiere.
L’università ha fatto peggio. Ha ridotto drasticamente – spesso allo scopo di strappare studenti, e quindi finanziamenti, alle facoltà concorrenti – la difficoltà degli studi e, quindi, il valore reale dei titoli (cioè l’effettivo accrescimento delle capacità intellettuali e professionali). Si è rifugiata nel monopolio del valore legale del titolo, talora approfittandone per un vero e proprio mercimonio: con tasse sempre più alte lo studente acquisisce, in pratica, il diritto a laurearsi. Non diversamente da quelle università farlocche che spacciano a pagamento lauree posticce da appendere al muro.
Lo sfascio della scuola e dell’università ha fatto sì che in questi anni in Italia si sia preferito cercare l’affermazione sociale ed economica non con la cultura e la conoscenza, ma sfruttando le fortune di famiglia, le relazioni, le raccomandazioni, le lobby partitiche. È un mistero perché ancora oggi qualcuno preferisca questa selezione spuria, immorale e sconcia a quella basata sui meriti personali, l’impegno e l’entusiasmo che ciascun ragazzo mette nel proprio studio.
L’Unione Europea ha deciso con la “strategia di Lisbona” di puntare sull’economia della conoscenza e della cultura. Se vogliamo stare al passo con questa Europa, dobbiamo per prima cosa restituire all’istruzione una reale possibilità di aumentare le capacità intellettuali e professionali, e solo per questa via di offrire a tutti uguali opportunità di lavoro e di vita. Il merito – parafrasando Churchill – è il peggior criterio di selezione possibile, esclusi tutti gli altri.
ENRICO MUSSO è professore ordinario di Economia Applicata nell’Università di Genova e senatore del Pdl.

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Il Secolo XIX16 luglio 2009
Fortunati quei Paesi dove non si boccia nessuno
La parola “meritocrazia” fu coniata dal sociologo inglese laburista Michael Young agli inizi degli anni ’50. Il libro “L’origine della meritocrazia” fu pubblicato in italiano dalle edizioni di Comunità, di Adriano Olivetti. È un divertentissimo libro di fantasociologia, in cui, dopo aver all’inizio fatto l’elogio del termine contrapposto alle varie aristocrazie e gerontocrazie dominanti, mostra le assurdità di una società in cui ricchezza e potere vengono distribuiti sulla base di risultati scolastici e ancor peggio dei quozienti di intelligenza. La casta che ne deriverebbe, secondo Young, sarebbe ancora più chiusa, impermeabile, escludente, delle vecchie caste a cui si contrappone.
In particolare la scuola finirebbe per rendere la selezione sempre più precoce concentrando sui pochi le eccellenze educative, ed aumentando a dismisura la selezione e la dispersione di quanti non si adeguano agli standard di intelligenza dagli stessi “intelligenti” definiti. Alla scuola della meritocrazia, sulle orme di Dewey, contrappone la scuola della democrazia, che è quella capace di valorizzare le diverse intelligenze e le diverse capacità di tutti i ragazzi, senza gerarchie ed alti e bassi predefiniti tra di esse, ma capace di dare valore al sapere delle mani, degli occhi, delle orecchie. E costruendo, nel momento stesso in cui riconosce le differenze individuali di merito acquisite conidiversi saperi, una comune idea di cittadinanza democratica, di partecipazione, secondo le diverse capacità, alla costruzione del bene comune.
Mi è tornato in mente il vecchio libro di Young, e il vecchio ma sempre giovane “Scuola e democrazia” di Dewey, leggendo le interviste della Gelmini, in cui la quantità delle bocciature segna finalmente l’aavvento della meritocrazia nella scuola.
L’affermazione della Gelmini è sbagliata non solo sulla base dei vecchi testi, ma anche sulla base di quanto ci dicono le più recenti indagini internazionali sugli andamenti scolastici.
Se si guardano i dati dell’indagine Ocse Pisa si scopre che tutti i Paesi che raggiungono livelli alti di eccellenza qualitativa sono anche Paesi in cui non c’è quasi dispersione scolastica. Il tasso di dispersione scolastica e il non raggiungimento di standard qualitativi elevati vanno assolutamente insieme. La Finlandia ha i livelli più alti di eccellenza e non boccia nessuno, porta quasi la totalità dei ragazzi a pigliare il diploma a 18 anni. I paesi che stanno peggio di noi dal punto di vista qualitativo stanno peggio di noi nei livelli di dispersione scolastica. L’idea che per recuperare serietà dobbiamo bocciare di più non solo è iniqua, ma non funziona. Sia l’eccellenza che la lotta alla dispersione richiedono una scuola flessibile e capace di personalizzare i propri obiettivi, richiedono autonomia perché il lavoro che bisogna saper fare per tenere dentro un ragazzo in difficoltà e il lavoro teso a valorizzare le eccellenze fanno parte della stessa professionalità, e richiedono una struttura organizzativa in grado di compiere un’operazione di personalizzazione.
Quindi, una scuola inclusiva e di qualità non è una cosa astratta, ma è una cosa che già si verifica nei Paesi che lavorano meglio di noi e deve restare nostro obiettivo fondamentale.
L’Italia ha tanti difetti, ma il più grave, secondo sempre i dati Ocse, è che ha il più basso indice di equità. E fra tutti i Paesi europei, quello in cui le differenze non risultano da attitudini individuali, ma risultano dal tipo di scuola che frequenti, da dove sei nato e dal livello di istruzione dei genitori. Le bocciature rivelano alla fine la scarsa capacità di un sistema scolastico nel suo insieme di dare a tutti pari opportunità. Molto prima del risultato finale degli esami di maturità. Addirittura nella scuola dell’infanzia, che è il terreno prioritario per superare le differenze che derivano dai diversi contesti familiari, e nella diffusione sul territorio di esperienze di educazione degli adulti, dal momento che come accertano tutte le indagini, il livello di sapere delle generazioni precedenti, gli indici di lettura e di partecipazione alla cultura dei diversi territori, si ripercuotono nei risultati scolastici dei bambini e dei ragazzi.
La variabile territoriale è decisiva. Quanto le città lavorano per mettere in rete le scuole tra loro e per mettere in rete le scuole con le opportunità educative del territorio, quanto cioè sanno essere o non essere città educativa, è un elemento fondamentale del successo scolastico. Le scuole dell’autonomia funzionano più o meno bene quando non sono sole, quando sono inserite in una rete di opportunità. L’immigrazione, l’accoglimento e l’integrazione di alunni provenienti da Paesi diversi dal nostro, è il primo terreno di verifica di questa capacità.
Se è così ha ragione la direttrice regionale dell’istruzione Anna Maria Dominici ad essere contenta del fatto che a Genova ci siano pochi bocciati, nonostante non ci siano tracce evidenti di lassismo compiacente. Vuol dire che la scuola di questa città, dall’infanzia alle superiori, ha più cura di altre dei bambini e dei ragazzi di ogni condizione sociale e qualsiasi lingua parlino e qualunque religione professino, che qui, perlomeno, nonostante i tagli e i proclami della Gelmini, la scuola inclusiva e di qualità, quella del “vecchio” Dewey, resiste. C’è da esserne fieri.
ANDREA RANIERI è assessore alla Cultura del Comune di Genova.

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