Ceviche a colazione... il mio primo libro!

20 novembre 2009

Intervista a Gabriele Del Grande – Fortress Europe

1) Da quanto tempo e perché ti occupi di "Fortress Europe", tanto più che mi risulta che sei molto giovane, a maggior ragione m'intriga sapere perché ti dedichi con tanta passione e competenza ai diritti dei migranti.
1) Ho iniziato nel giugno del 2005 a fare le prime ricerche sui dispersi nel Mediterraneo. Lavoravo come giornalista all'agenzia stampa Redattore Sociale (www.redattoresociale.it/). All'epoca era solo un articolo. Poi mi sono reso conto delle dimensioni della tragedia e ho continuato a lavorarci. Fino a mettere on line il sito (http://fortresseurope.blogspot.com/), nel gennaio 2006, e poi a partire per i viaggi nel mediterraneo che faccio ormai in modo ininterrotto dall'ottobre 2006, sulle tracce delle storie di tanti emigranti che fanno la storia di questi anni bui per il mediterraneo.
2) Non so se conosci il cantante guatemalteco Ricardo Arjona, che ha dedicato una sua celebre e bella canzone al "mojado", il "bagnato", cioè i migranti latinos che per andare negli USA devono attraversare il Rio Bravo perciò si devono "bagnare". Alla fine del suo video colloca un dato spaventoso: negli ultimi tre anni oltre 1500 persone sono morte nel tentativo di entrare negli USA. Ma, a giudicare anche dai dati che fornisci tu nel tuo sito, l'Europa batte gli USA in questa triste gara. Che cosa c'è dietro tutto ciò, secondo te? La paura dei ricchi di dover dividere la loro ricchezza con i poveri, il calcolo politico dei potenti del mondo che vogliono lasciare i paesi del sud del mondo in una situazione di inferiorità, ecc.?
2) Ci sono molti aspetti. Il primo è di natura coloniale. L'idea cioè che gli altri – cioè chi non appartiene al club dei paesi industrializzati – non abbiano diritto di circolare liberamente. Ma che siano soltanto le nostre aziende a poter arrogare il diritto di trasferire temporaneamente in Europa il numero di braccia necessarie al buon funzionamento delle nostre imprese, limitatamente alla durata del loro impiego. Il resto è solo retorica sui diritti umani con cui ci si risciacqua la bocca prima dei grandi discorsi. E allora l'azione di chi brucia le frontiere diventa un gesto politico. Di ribellione. Verso le politiche omicide dell'Europa che nega i visti ma chiede manodopera. E verso la classe politica corrotta e inadeguata che governa i paesi della riva sud del mediterraneo, negando il sogno di un avvenire a tanti dei suoi giovani.
Poi c'è un discorso culturale, montato ad arte dalla classe politica e dalla stampa. L'idea cioè che fuori dall'Europa si trovi l'oscuro, il male, l'ignoto, la barbarie. E che il mondo intero sia pronto con la valigia per invadere la civile Europa, un mondo di straccioni e estremisti religiosi.
Non penso che i paesi potenti vogliano lasciare i paesi del sud in una situazione di inferiorità. Almeno non necessariamente. Basta guardare quello che succede nei ricchissimi paesi del golfo o nel sudest asiatico o in Cina. Dopotutto sono mercati dove vendere le merci europee... penso semplicemente che l'Europa dovrebbe parlare meno di diritti umani, visto che l'unico criterio con cui si porta avanti la politica estera è un criterio di tipo economico, che mira a stringere affari al miglior prezzo. Chiunque sia la controparte: la Russia di Putin, la Libia di Gheddafi o la Tunisia di Ben Ali.
3) Perché, secondo te, da parte della gente comune c'è più indifferenza che solidarietà: mancanza di memoria, cattiveria, complicità, ecc.?
3) Da parte della gente comune c'è indifferenza in generale. Verso molte tematiche. L'immigrazione è l'ultimo dei problemi dell'italia. La gente è indifferente verso la precarietà, verso la situazione dei giovani, verso il potere abnorme di banche e assicurazioni, verso le mafie... Perché dovrebbe essere più sensibile verso l'immigrazione. Il problema forse va posto a un altro livello. Viviamo in un paese dove non esiste una pubblica opinione. Dove i giornali e le tv si occupano di gossip e sterili polemiche tra politicanti. I fatti sono scomparsi dalla cronaca, salvo qualche fatto di nera che tanto piace ai nostri direttori di redazione. E poi c'è il problema della sicurezza e della retorica di cui tutti siamo vittime. Ma di nuovo, il vero problema sono gli immigrati? O la vita di intere città e quartieri? Dove i legami sociali sono pressoché scomparsi? Dove la gente si sente sola? Le strade sono deserte? E questa stampa? Ignorante e impreparata. Impregnata di quel senso comune di razzismo che rilancia dalle prime pagine dei quotidiani. E lo Stato? Che fa del razzismo l'asse portante delle sue politiche? Un ministro invoca la cattiveria contro gli stranieri senza documenti, e ne fa norma attraverso una legge sulla sicurezza in cui si autorizzano squadre di cittadini a pattugliare i quartieri contro un nemico identificato nello straniero, e poi ci stupiamo se la gente mostra più indifferenza che solidarietà? In realtà dovremmo essere contenti – paradossalmente – che la gente mostri indifferenza anziché manifestare violenza di massa. È che come al solito l'Italia è migliore di chi la rappresenta. Ma il rischio di una deriva razzista c'è davvero.
4) Domanda connessa alla precedente: il Pacchetto Sicurezza, oltre ad essere una nuova legge razziale, introduce, come al tempo della persecuzione degli ebrei da parte dei nazisti, l'idea di un reato per quello che si è e non per quello che si fa. Pensi che siamo al preludio a un nuovo fascismo, anche peggiore del precedente, o si tratta del canto del cigno di una vecchia classe dirigente che non sa adattarsi alla "globalizzazione"?
4) Non parlerei di fascismo, perché è una parola equivoca, e perché queste politiche sono ampiamente condivise dalla destra e dalla sinistra italiana. Ricordo a tutti che fu un governo di sinistra a aprire i centri di permanenza temporanea (CPT, oggi CIE) e che fu l'attuale presidente della repubblica Giorgio Napolitano a firmare uno dei primi accordi di riammissione con la Tunisia del regime di Ben Ali, nel 1998. La classe dirigente certo si è abituata fin troppo in fretta alla globalizzazione. Ma dei capitali e delle merci, al punto da fare poco o niente per tenere in Italia la filiera produttiva di tanti settori oggi delocalizzati in Cina piuttosto che in Romania, a detrimento delle piccole e medie imprese italiane. Non ritengo nemmeno che il problema sia ciò che si è. Il problema è lo spostamento. La circolazione. In un mondo che basa la sua mappa del potere sulla distribuzione della ricchezza e sulla sua concentrazione in un manipolo di paesi ricchi, non è ammessa la libertà di circolazione. Perché, come in un processo osmotico, impoverisce i paesi di immigrazione e arricchisce quelli di origine. E chi si ribella a quell'ordine imposto dagli stati nazione per proteggere le proprie fortezze, è colpevole. Nei CIE non ci finiscono gli stranieri. Ma solo quelli senza documenti. Ovvero senza contratto di lavoro. Ovvero improduttivi. E torniamo al discorso di prima. Se mi servi, sei il benvenuto. Se non produci, ho il diritto di deportarti.
5) Ultima domanda: quali soluzioni e azioni proponi, alla gente comune in particolare? Che cosa pensi che possiamo fare di più di quanto già facciamo?
5) La soluzione è una sola. E si chiama libertà di circolazione. Esattamente come avviene – è sempre utile ricordarlo – dal primo gennaio 2007 con Polonia, Romania e Bulgaria. Paesi dai quali negli ultimi due anni non c'è stata nessuna invasione. Al contrario, la migrazione si è stabilizzata con meccanismi circolari di andata e ritorno a seconda della disponibilità del mercato del lavoro e delle proprie esigenze. Si dovrebbe partire dal Mediterraneo. Uno spazio che per motivi storici e di opportunità politiche non può essere trincerato da frontiere. Ma dovrebbe sin d'ora essere aperto alla libertà di circolazione. Sicuramente nei primi mesi ci sarebbe un forte afflusso di emigranti. Ma nel giro di pochissimo tempo la cosa si stabilizzerebbe. Esattamente come è avvenuto per i paesi dell'Europa orientale. Pensate solo a quanti miliardi di euro si guadagnerebbero chiudendo i 224 centri di espulsione dell'UE, a quanti funzionari di polizia si potrebbero restituire alle attività di sicurezza reale del territorio, a quanto le carceri si svuoterebbero di emigrati detenuti per il mancato osservamento dell'ordine di espulsione. E pensate a quanta ricchezza – in termini culturali e economici – il Mediterraneo tornerebbe a produrre, un po' come sta avvenendo nell'UE all'interno dello spazio di libera circolazione.
Roberto Marras – 20/11/2009

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