Il celebre scrittore peruviano Mario
Vargas Llosa, premio Nobel per la Letteratura nel 2010, sicuramente, riconosco, uno dei più importanti scrittori viventi al mondo, per quanto non
sempre le sue idee io le condivida, ha pubblicato nel
1971 il fondamentale saggio García Márquez: Historia de un
Deicidio, nel cui capitolo secondo, intitolato El novelista y sus
demonios, proprio all'inizio, scrisse: “ESCRIBIR novelas es un acto
de rebelión contra la realidad, contra Dios, contra la creación de
Dios que es la realidad. Es una tentativa de corrección, cambio o
abolición de la realidad real, de su sustitución por la realidad
ficticia que el novelista crea. Éste es un disidente: crea vida
ilusoria, crea mundos verbales porque no acepta la vida y el mundo
tal como son (o como cree que son)”.
Ora, posto che personalmente ometterei
la variabile Dio – credo piuttosto che la realtà sia una
conseguenza delle azioni di certi uomini –, applico senz'altro
queste parole al secondo straordinario romanzo di mio cugino
Francesco Marras, Fiore di tango, la cui trama, che, non a caso, deve
molto al realismo magico di matrice ispanoamericana, specie nel
finale, è davvero un atto di ribellione contro la realtà, questa
nostra realtà dominata da figure meschine e corrotte, in contrasto
ai valori di solidarietà e nobiltà che fioriscono dal tessuto di
parole che Francesco ha saputo molto ben congegnare, tra memoria e
finzione, autobiografia e utopia.
Mi ha detto che il suo scopo è quello
di sensibilizzare le coscienze, e io dico che lo raggiunge
compiutamente questo scopo, come nel suo primo romanzo del resto. E
aggiungo che ce ne vorrebbero di libri così, perché le coscienze
sono sempre più atrofizzate.
Una breve citazione:
“Ero stanco di
questo mondo tronfio di sé, che si faceva vanto di aver ormai vinto
il malvagio demone del comunismo, così come Bellerofonte aveva vinto
Chimera. Vedevo un mondo stanco, dove erano state svilite e fiaccate
le grandi rivendicazioni sociali e dove le esigenze dell’economia,
del soldo, del capitale avevano preso il sopravvento sulle necessità
dell’essere umano. Vedevo il fulgido modello del liberismo
economico, a cui i nostri lungimiranti politici si erano
dogmaticamente adeguati, produrre senza grandi obiezioni di principio
milioni di oggetti inutili, milioni di tonnellate di sostanze
altamente inquinanti che ci uccidevano silenziosamente. Vedevo
produrre cibo malsano, disoccupazione, diseguaglianze, precarietà.
Vedevo annichilito il futuro di milioni di giovani e reso incerto il
tempo di chi giovane non lo era più. Vedevo un mondo fiaccato
dall’interesse delle grandi banche, corroso e frenato nella sua
stessa evoluzione dal tornaconto mediocre delle multinazionali;
offeso dall’ipocrisia di chiamare tutto questo “benessere”. E
in questo benessere vedevo nascere come conseguenza retorica, logica,
forse necessaria, quasi un miliardo di persone che morivano per
mancanza di cibo e acqua. Ma in questa commedia dell’assurdo, noi
membri onorari del mondo occidentale, il mondo dell’opulenza e
della presunta libertà, potevamo continuare a sentirci la coscienza
immacolata. Sarebbe stato sufficiente non usarla, per continuare a
illuderci e ritenerci incolpevoli, privi di una qualunque
responsabilità e immuni dal problema stesso. Sarebbe bastato pensare
alla fame, alla miseria, all’abbandono come una malattia endemica
di quei paesi chiamati laconicamente “Terzo mondo”, paesi dal
peso politico così irrisorio da essere considerati nel nostro
immaginario comunque lontani, privi persino di una collocazione
geografica reale. Quei paesi eternamente in via di sviluppo e dove in
realtà ciò che l’occidente ha da sempre sviluppato sono il
degrado, la devastazione di ogni principio morale ed etico. Giustizia
vuole infine che l’interesse e la cupidigia dei pochi percorrano
direttrici ben più articolate e complesse, dove lo sfruttamento non
misura confini e non fa prigionieri. Basterebbe spegnere le
televisioni, affacciarsi alla finestra e guardare la realtà della
vita di tutti i giorni con gli occhi della verità e non con quelli
dell’egoismo, per accorgersi del solco profondo e ingiusto che è
stato scavato tra lo smisurato guadagno di poche persone e il bisogno
necessario dei più”.
Grazie, cugino, continua così!
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