Ceviche a colazione... il mio primo libro!

14 luglio 2014

Fiore di tango di Francesco Marras

Il celebre scrittore peruviano Mario Vargas Llosa, premio Nobel per la Letteratura nel 2010, sicuramente, riconosco, uno dei più importanti scrittori viventi al mondo, per quanto non sempre le sue idee io le condivida, ha pubblicato nel 1971 il fondamentale saggio García Márquez: Historia de un Deicidio, nel cui capitolo secondo, intitolato El novelista y sus demonios, proprio all'inizio, scrisse: “ESCRIBIR novelas es un acto de rebelión contra la realidad, contra Dios, contra la creación de Dios que es la realidad. Es una tentativa de corrección, cambio o abolición de la realidad real, de su sustitución por la realidad ficticia que el novelista crea. Éste es un disidente: crea vida ilusoria, crea mundos verbales porque no acepta la vida y el mundo tal como son (o como cree que son)”.
Ora, posto che personalmente ometterei la variabile Dio – credo piuttosto che la realtà sia una conseguenza delle azioni di certi uomini –, applico senz'altro queste parole al secondo straordinario romanzo di mio cugino Francesco Marras, Fiore di tango, la cui trama, che, non a caso, deve molto al realismo magico di matrice ispanoamericana, specie nel finale, è davvero un atto di ribellione contro la realtà, questa nostra realtà dominata da figure meschine e corrotte, in contrasto ai valori di solidarietà e nobiltà che fioriscono dal tessuto di parole che Francesco ha saputo molto ben congegnare, tra memoria e finzione, autobiografia e utopia.
Mi ha detto che il suo scopo è quello di sensibilizzare le coscienze, e io dico che lo raggiunge compiutamente questo scopo, come nel suo primo romanzo del resto. E aggiungo che ce ne vorrebbero di libri così, perché le coscienze sono sempre più atrofizzate.
Una breve citazione:
“Ero stanco di questo mondo tronfio di sé, che si faceva vanto di aver ormai vinto il malvagio demone del comunismo, così come Bellerofonte aveva vinto Chimera. Vedevo un mondo stanco, dove erano state svilite e fiaccate le grandi rivendicazioni sociali e dove le esigenze dell’economia, del soldo, del capitale avevano preso il sopravvento sulle necessità dell’essere umano. Vedevo il fulgido modello del liberismo economico, a cui i nostri lungimiranti politici si erano dogmaticamente adeguati, produrre senza grandi obiezioni di principio milioni di oggetti inutili, milioni di tonnellate di sostanze altamente inquinanti che ci uccidevano silenziosamente. Vedevo produrre cibo malsano, disoccupazione, diseguaglianze, precarietà. Vedevo annichilito il futuro di milioni di giovani e reso incerto il tempo di chi giovane non lo era più. Vedevo un mondo fiaccato dall’interesse delle grandi banche, corroso e frenato nella sua stessa evoluzione dal tornaconto mediocre delle multinazionali; offeso dall’ipocrisia di chiamare tutto questo “benessere”. E in questo benessere vedevo nascere come conseguenza retorica, logica, forse necessaria, quasi un miliardo di persone che morivano per mancanza di cibo e acqua. Ma in questa commedia dell’assurdo, noi membri onorari del mondo occidentale, il mondo dell’opulenza e della presunta libertà, potevamo continuare a sentirci la coscienza immacolata. Sarebbe stato sufficiente non usarla, per continuare a illuderci e ritenerci incolpevoli, privi di una qualunque responsabilità e immuni dal problema stesso. Sarebbe bastato pensare alla fame, alla miseria, all’abbandono come una malattia endemica di quei paesi chiamati laconicamente “Terzo mondo”, paesi dal peso politico così irrisorio da essere considerati nel nostro immaginario comunque lontani, privi persino di una collocazione geografica reale. Quei paesi eternamente in via di sviluppo e dove in realtà ciò che l’occidente ha da sempre sviluppato sono il degrado, la devastazione di ogni principio morale ed etico. Giustizia vuole infine che l’interesse e la cupidigia dei pochi percorrano direttrici ben più articolate e complesse, dove lo sfruttamento non misura confini e non fa prigionieri. Basterebbe spegnere le televisioni, affacciarsi alla finestra e guardare la realtà della vita di tutti i giorni con gli occhi della verità e non con quelli dell’egoismo, per accorgersi del solco profondo e ingiusto che è stato scavato tra lo smisurato guadagno di poche persone e il bisogno necessario dei più”.
Grazie, cugino, continua così!

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