Ceviche a colazione... il mio primo libro!

9 aprile 2009

Ma una pianta cresce dal muro

L'altro ieri e ieri ho conosciuto la scrittrice romana de Roma - come dimostra il suo accento -, però di genitori somali, Igiaba Scego.
L'ho conosciuta prima all'Istituto Bergese, la scuola professionale subito sotto l'ITCS Rosselli - in cui lavoro io ancora per un paio di mesi -, dove l'aveva invitata la mia collega Daniela Malini, intraprendente organizzatrice del Caffè Shakerato (http://www.istitutobergese.it/doc/Bando.pdf), con la collaborazione di Massimo Cannarella, ricercatore a contratto presso il Dipartimento di Scienze Antropologiche dell’Università di Genova - che già conoscevo per essere amico della mia compagna Priscila e per altri eventi legati all'immigrazione -, nonché Francesca Lagomarsino, assegnista di ricerca presso il DISA, Facoltà di Scienze della Formazione dell’Università di Genova, pure lei già nota.
Quest'ultimi hanno poi presentato Igiaba ieri al Ducale, con la collaborazione del Centro Studi Medì con cui lavora l'amica Marina Forlani, personaggio di spicco dei grupos di lettura alla Berio, e che a dire il vero è arrivata alla fine, così come io stesso sono arrivato dopo la proiezione del video "La Costituzione europea" - cinque scene da un continente meticcio di Eugenia Teodorani e Alessandro Diaco (pure loro presenti) - che comunque avevo già visto al Bergese -, perché ero impegnato nel presidio davanti alla Prefettura per la Scuola Pubblica e in particolare per i precari come me, organizzato dalla FLC-CGIL dell'amico Paolo Quatrida, conclusosi poi quando siamo stati ricevuti da un funzionario prefettizio e dalla sua segretaria che ha annotato diligentemente le nostre rimostranze.
Igiaba è considerata una delle figure più brillanti tra gli scrittori migranti di seconda generazione; è una ragazza di 34/5 anni che sembra molto più ingenua e delicata di quanto poi dimostra di essere, allorché chiama direttamente per nome le persone e i problemi che riguardano il razzismo e la xenofobia nel nostro paese.
Ci ha raccontato per esempio di una sua amica di origine africana ma nata in Italia come lei, che non sapeva, perché nessuno gliel'aveva mai detto, che compiuti i 18 anni aveva un anno di tempo per scegliere la cittadinanza italiana o mantenere quella dei genitori, cosicché il tempo è passato e ha perso la possibilità di avere la cittadinanza italiana. E più tardi, precocemente, ha perso anche la vita. Ma Igiaba, per pudore forse, non ci ha raccontato i dettagli di questa morte.
Poi ha parlato - e letto - tanto di identità.
Tema anche a me molto caro.
Ha detto varie cose che si possono riassumere in una citazione dal suo racconto Salsicce, che si trova su Wikiquote: "Credo di essere una donna senza identità. O meglio con più identità. Chissà come saranno belle le mie impronte digitali! Impronte anonime, senza identità, neutre come la plastica".
Sempre su Wikiquote, poi, si trova anche quest'altra citazione, sempre tratta dallo stesso racconto: "A Roma la gente corre sempre, a Mogadiscio la gente non corre mai. Io sono una via di mezzo tra Roma e Mogadiscio: cammino a passo sostenuto".
E ha detto una cosa che io vado predicando da anni, specie durante le mie lezioni: la vera natura degli Italiani, di tutti gli Italiani, da sempre, è la varietà, il fatto di avere più identità nelle loro radici.
Per questo il razzismo che ci impone la politica tramite i media è persino contro la nostra stessa natura.
Poi ha parlato anche di stereotipi, che il mio collega di pallanuoto Roberto - un omone biondo e con gli occhi azzurri, fortissimo centroboa -, pure lui presente al Ducale, sosteneva che si dovevano accettare con leggerezza, giacché lui, quando è stato in Marocco, dai locali era etichettato come l'italiano in cerca di droga e donne - e qui, secondo me, è stato diplomatico, perché so che in Marocco è come in Tunisia, che conosco direttamente, dove gli occidentali in genere più che le donne cercano i ragazzi: anche Tahar ben Jelloun ha raccontato in un'intervista che a Allen Ginsberg piaceva il Marocco perché vi poteva trovare tutta la marijuana e i ragazzi che voleva!
Igiaba, giustamente, ha precisato che dipende dagli stereotipi! E ha raccontato che una volta, in un colloquio di lavoro, ancor prima che lei rispondesse alla domanda: "Di che religione sei?", l'esaminatore le abbia fatto una testa tanta sul fatto che non poteva concederle il tempo per pregare e altri "privilegi" che in genere pretendono i musulmani.
Al Bergese aveva raccontato di come, da ragazza, in un'epoca in cui peraltro gli "extracomunitari" non erano ancora troppo visibili, nel migliore dei casi fosse chiamata Kunta Kinte, come il famoso protagonista di Roots, del romanzo di Alex Haley da cui è stato tratto anche il celebre sceneggiato, e a cui, come lei stessa ha ricordato, si è ispirato anche il cantante Daniele Silvestri per la sua canzone-calembour.
Ma quando le andava meno bene era chiamata "sporca negra".
Un po' come io ero chiamato "pastore sardo", "pecorella", ecc.
Laddove nemmeno valeva la pena di spiegare - nemmeno ai miei docenti indecenti - che, sebbene abbia un cognome marcatamente sardo - peraltro da secoli abbastanza diffuso anche in Grecia, Spagna, Francia e persino Inghilterra, come ho scoperto più tardi -, in realtà avevo una nonna paterna di origine corsa, nonché, soprattutto, una madre siciliana, insomma: sono un perfetto esempio di italiano, dalle plurime radici.
Igiaba allora ha spiegato che contro questi stereotipi ingiuriosi ha dovuto imparare a difendersi. Non a pugni, ché è una donna e per giunta esile.
Bensì grazie alla parola, alla capacità di parlare sensatamente e con cognizione precisa di quanto dice e racconta, grazie allo studio.
E io la ringrazio per lo straordinario insegnamento di grande valore pedagogico rivolto agli alunni (e non solo) - e che ho sfruttato e sfrutterò anche nelle classi che non hanno partecipato alla sua conferenza -, per giunta molto in sintonia con la mia storia.
È incredibile, infatti, come quanto più proceda nel mio percorso più mi senta "fratello" di persone come Igiaba, come la mia compagna ecuatoriana Priscila - lo metto bene in rilievo nella mia antologia di racconti Ceviche a colazione, che spero di pubblicare prossimamente - o come Albert Einstein, il quale, com'è noto, sul modulo dell'Ufficio Immigrazione americano alla voce razza aveva scritto: UMANA.
In un'epoca dove la sua presunta "razza ebraica" soffriva non pochi problemi in Europa e in Occidente in genere. E non solo da allora, peraltro.
Igiaba ha ricordato, come faccio io nelle mie lezioni, che pure in Italia, nel 1938, sono state promulgate le famigerate Leggi Razziali.
E, giustamente, ha ricordato pure come la Somalia, il paese di origine dei suoi genitori, nonché l'Etiopia, l'Eritrea e la Libia, abbiano una storia di coinvolgimento intenso - e di qualche credito - con l'Italia colonizzatrice.
Ha detto per esempio che nella Mogadiscio italiana certi quartieri erano vietati ai Somali, esclusiva prerogativa dei coloni italiani. E questo posso confermarlo pure io per quanto riguarda Asmara, di cui sono a venuto a sapere la stessa cosa quando ci ho soggiornato per tre mesi tra il gennaio e l'aprile del '98, cioè sino a un mese prima che scoppiasse la nefasta guerra tra Eritrea e Etiopia.
E la stessa rivendicazione nei confronti dell'Italia la avanza anche il protagonista etiope del terribile film-documentario Come un uomo sulla terra, alla cui promozione già mi sono dedicato (http://romras.blogspot.com/2009/03/stamattina-ho-assistito-al-film.html), e che mi sto adoperando per far proiettare nelle scuole e nella Berio.
Posso aggiungere peraltro che quando ero ad Asmara, in un taxi collettivo, un autoctono grande e grosso, e un po' alticcio, mi abbia apostrofato in inglese chiedendomi prima di dove fossi, poi dicendomi che "gli Italiani 50 anni prima avevano ucciso con i gas ragazze come quella che mi stava seduta accanto".
Io ho avuto solo la capacità di rispondergli che 50 anni prima non ero senz'altro nato.
Ma è certo vero che lo stereotipo degli Italiani Brava Gente, un altro tra quelli che ha ricordato Igiaba, sia come minimo un po' da rivedere.
Tanto più che tuttora i governi italiani mica cercano di rimediare ai crimini del passato, anzi ne aggiungono di nuovi, come denuncia proprio la testimonianza di Come un uomo sulla terra, dove tra l'altro è messa in rilievo l'affermazione ipocrita di Frattini, il quale non può rispondere dell'uso che i Libici fanno degli "aiuti" italiani, usati per alimentare il traffico di esseri umani tra l'Africa subsahariana e le coste della Libia, esseri umani derubati, vessati, torturati, violentati, uccisi... più e più volte.
Certo, come il "nostro" TG1 e gli altri notevoli media italiani hanno celebrato, Berlusconi ha comunque "fatto la pace" (e soprattutto lucrosi affari) con il leader libico Gheddafi!
Particolare anche questo ricordato da Igiaba.
Ieri al Ducale, visto che al Bergese non avevo potuto farlo, mi sono rivolto anche io a Igiaba, ribadendole in modo più circostanziato quanto fugacemente le avevo detto già detto al Bergese salutandola di corsa.
Io, e tanti altri Italiani, abbiamo già sofferto - e continuiamo a soffrire - i pregiudizi e le dscriminazioni che han sofferto lei e le persone come lei.
E pure io ho un senso dell'identità molto simile al suo.
Anzi, a dirla tutta, come ho già avuto modo di dire spesso in altre sedi, penso che tutte le identità, nessuna esclusa, siano false e ingannevoli. Laddove, se poi qualcuno ci tiene ad essere e sentirsi italiano, cattolico, di destra, persino sampdoriano :-), dovrebbe comunque vivere queste etichette che si autoimpone senza rompere le balle agli altri!
In ogni caso ci ho tenuto a ricordare però come il razzismo in Italia sia ormai una realtà diffusa, al punto che abbiamo al potere una classe politica che lo ha srumentalizzato per farsi eleggere.
E ho raccontato il già descritto (http://romras.blogspot.com/2008/03/il-fascismo-sotto-casa.html) episodio di Borghezio e Rixi che, iperprotetti dalle "Forze dell'Ordine", sbraitavano a Sestri Ponente, sotto la casa di Priscila, "tutti gli stranieri ladri, stupratori e assassini, tutte le straniere prostitute"!!!
E ho ricordato pure come la Lega Nord (in origine Lega Lombarda) dei sopra citati energumeni, poco più di vent'anni fa (ma anche dopo), basasse la propria propaganda razzista contro i "meridionali" come me, gli "extracomunitari" di allora, laddove nel tempo ha semplicemente raffinato i propri obiettivi, quando ha scoperto che se invece se la fosse presa con gli "extracomunitari" avrebbe ottenuto più voti e consensi, anche dai meridionali stessi, che non "si ricordano" di essere stati il suo primo obiettivo.
E certi politici meridionali come la forzaitaliota Aprea, tristemente nota a noi lavoratori della Scuola, lavorano a stretto contatto con i leghisti come Cota e Bricolo, con l'obiettivo comune di demolire la Scuola Pubblica italiana.
Per non parlare della siciliana Manuela Marrone, la Malinche dell'Italia del Sud, moglie del senatur Bossi.
Caso vuole che pochi giorni fa, all'Università, ho seguito la lezione del Prof. Fabietti, il quale, nel contesto di un seminario su Storia e Memoria organizzato per noi dottorandi di Letteratura Comparata Euro-Americana, ha messo in rilievo, tra le altre cose, come il Carroccio, simbolo della Lega Nord, in realtà sia nato nel Medio Evo come simbolo comunale, poi sia diventato simbolo dell'originale Lega Lombarda, coalizione di comuni lombardi guelfi contro l'imperatore Federico Barbarossa, quindi sia stato trasformato in simbolo dell'irredentismo italiano dalla retorica umanista fino a quella risorgimentale, per poi tornare, con Bossi e i suoi leghisti, ad essere un simbolo localista della "Padania", entità senza tradizione storica inventata di sana pianta.
Sarebbe un perfetto esempio, infatti, di quegli studi svelatori di verità avviati dall'ormai classico L'invenzione della tradizione, di Eric J. Hobsbawm e Terence Ranger.
Questo a conferma di quanto dicevo supra e ribadisco: tutte le identità sono false e ingannevoli.
Comunque Igiaba ha ancora giustamente ricordato come anche la presunta controparte politica, il PD, abbia cavalcato la tigre del razzismo e della xenofobia, specie riguardo agli sbarchi dei cosiddetti clandestini, e questo le ha fatto sostenere pertanto che si tratta di un problema politico serio e diffuso in Italia (e non solo).
Io sono d'accordo con lei, naturalmente, ma insisto nel sostenere che prima di essere politico, il problema è culturale, perché tra gli Italiani, condizionati dalla disinformazione nefasta dei media - peraltro controllati dalla classe politica - ormai il razzismo è consolidato.
Allo stesso Veltroni, fallimentare inventore del PD, gli ho sentito dire, quando è venuto a Genova, che loro si sono dovuti adeguare alla nuova "sensibilità" della gente comune! E si è visto come sia stata e continua ad essere la "strada giusta"!!!
Insomma, come ho detto al Ducale, se vogliamo combattere questa "cultura" e "politica" del razzismo e della xenofobia al servizio del potere, dobbiamo continuare e insistere ad affrontarle nel loro stesso campo di diffusione, l'informazione!
Ho già avuto occasione di raccontare recentemente a un amico come mi ricordi bene l'apertura di un TG1 (ma che combinazione!!!) di tanti anni fa - ero studente universitario: primi anni '90 - allorché come notizione di grande rilievo venne divulgata tra gli Italiani la seguente "tragica realtà": "Se la crescita demografica del Paese continua ai livelli attuali, tra 150 anni in Italia non ci saranno più Italiani!".
Mi ricordo che la mia prima reazione fu di dire: "E a me che me ne frega di quello che ci sarà tra 150 anni, quando sarò morto e sepolto da un pezzo. Sono troppo occupato con il mio presente!".
D'altra parte, se passiamo in rassegna la storia italiana degli ultimi 15 anni, non si può fare a meno di rilevare come questa assurda e insensata campagna demografica di matrice cattolica conservatrice, in tempi in cui Bossi e Berlusconi erano ancora "innocui", sia stata probabilmente il segnale di rivitalizzazione del razzismo fascista e colonialista che comunque è parte della storia italiana e che l'attuale classe politica del Paese ha ormai di nuovo sposato in pieno come proprio carattere essenziale.
Ribadisco quindi come sia importante continuare e insistere - ripeto praticamente le medesime parole - ad affrontare la disinformazione di Stato nel suo stesso campo!
Per questa ragione ringrazio sentitamente Igiaba Scego - di cui voglio leggere presto i libri, per cui rimando alla voce relativa dell'utilissimo wikipedia http://it.wikipedia.org/wiki/Igiaba_Scego, e di cui segnalo anche questo contributo http://www.eksetra.net/forummigra/relScego.shtml - ma naturalmente anche la già citata collega Daniela Malini, che condivide con me il necessario obiettivo di educare i nostri alunni alla convivenza e alla reciproca conoscenza e valorizzazione, nonché gli altrettanto già citati Massimo Cannarella, Francesca Lagomarsino e tutto lo staff del Centro Studi Medì, specie la cara amica Marina Forlani, artefice o ideatrice di tante iniziative orientate nella stessa direzione, come quella dei citati grupos (http://blog.libero.it/GrupodeLectura/; http://grupodeleituraberio.blogspot.com/).
Un saluto e ringraziamento speciale poi ai ragazzi - e amici - di Nuovi Profili (http://nuoviprofili.com/), che incarnano in loro stessi la nostra comune lotta di resistenza umana contro la barbarie e la stupidità del razzismo.
Concludo con la pubblicazione di seguito di una mia poesia che mi ha ispirato una frase pronunciata nel video sopra citato proiettato al Bergese e al Ducale: una pianta cresce dal muro. L'ho collegata al fatto che comunque si continuano a erigere muri, con tanto di cocci aguzzi in cima, associazione che mi ha condotto alla seconda ispirazione, da me liberamente rielaborata, e che non rivelo, invitando tutti i lettori a scoprirla da soli.
L'importante è che continuino a crescere piante sui muri.
***
Ma una pianta cresce dal muro

Una pianta cresce dal muro
Una pianta cresce dal muro
Una pianta cresce dal muro

Tanti muri, troppi muri
Han tirato su i muri
Di mattoni e di cemento
Con in cima cocci aguzzi
Di ignoranza e di paura

Han eretto le barriere
Non ci voglion far entrare
“Sei diverso, sei straniero
E sei sporco e disgraziato”
Nel mio orecchio mi han gridato

E lo vedi all’ospedale
Prodigarsi pallido e ansioso
Presso un rovente muro d’odio,
Appurare tra papiri e fogli
Schiocchi di dita, frusci di carta
Nelle crepe della società o nella “feccia”
Spiar le file di nere formiche
Ch’ora si rompono ed ora t’intralciano
A margine di immani ipocrisie

Ma una pianta cresce dal muro
Una pianta cresce dal muro
Una pianta cresce dal muro

Pur nato sotto questo sole che abbaglia
Sentire con triste meraviglia
Che per tutta la vita sarai un alieno
In questo seguitare di muraglie
Con in cima cocci aguzzi

Di ignoranza e di paura

Ma una pianta cresce dal muro
Una pianta cresce dal muro
Una pianta cresce dal muro

2 commenti:

Roberto ha detto...

L'amica Carlotta Gualco, Direttrice del Centro in Europa, di cui sono socio, mi ha segnalato che ha partecipato all'evento al Ducale un rappresentante del Centro.
Un altro a parte me, le ho precisato.
Uno che non conosco, in effetti, ha parlato dell'Unione Europea come "medicina" per combattere il male delle discriminazioni razziste locali (e non solo).
Sono d'accordo, ferma restando la necessità di far sopravvivere la stessa Unione Europea, in crisi o comunque in mani sbagliate.

Roberto ha detto...

E a proposito di discriminazioni razziste locali, Igiaba - me ne sono ricordato poi - è rimasta impressionata dalla locandina de Il Secolo XIX in cui era enfatizzata la morte di tre genovesi in Abruzzo per il terremoto, che però ha fatto un numero ben più pesante di morti totali!!!
Questa nevrosi di sottolineare le catastrofi solo se vi sono rimaste coinvolte delle persone "prossime" è davvero bieca! E ha un forte sapore di razzismo!
Come nel caso dell'incidente sulle Ande del Perù in cui sono morti dei turisti italiani e per questo i media italiani ne hanno parlato tanto.
Il problema è che quell'incidente è stato uno dei tantissimi tra quanti si verificano nell'area andina, dato il livello criminale della guida degli autisti degli autobus di linea, che ho potuto sperimentare di persona in Ecuador dove mi sono salvata la vita per un pelo grazie alla mia esperienza di guida!
Se non ce l'avessi fatta, ben poco mi avrebbe consolato il fatto che i media italiani avrebbero parlato di me!